giovedì 15 settembre 2016

Rothorn - 3.108

Se rubi un mercoledì alle tue normali faccende lavorative, ci deve essere un buon motivo o una buona cima da salire. Sennò mica va bene. E così, eccomi per il secondo mercoledì di fila a lanciarmi in un impresa alpinistica con il mio socio, con cui andiamo verso l'anno di frequentazioni montane... 

Questa volta, la meta è il Rothorn, una cima nascosta in mezzo ai 4.000 del Sempione, nel Vallese che altrove figurerebbe come una incredibile montagna ma, stando in mezzo a cotanti giganti, ci fa un po' la figura del maritozzo... Insomma ambiente alpino severo, grande salita, ma di panorami... vabbè.
 

La meteo non prometteva nulla di buono, quindi, nel complesso, il fatto di non aver preso una bella lavata dovrebbe essere motivo di felicità.. se non fosse per l'assenza di visuale che dalla cima non ci ha permesso di vedere un fico secco... Ma caspita, accontentiamoci. Primo della salita, poi della compagnia, poi perché comunque, un 3.000 in mezzo ai giganti del Vallese non è cosa da tutti i giorni e non è cosa per tutti. Per intenderci, non è scampagnata per famiglie.
 
 
Dopo il boschetto insidioso e la pietraia infinita, (tant'è che mi sembrava di essere sul set de "il Signore degli Anelli" e di stare accompagnando Frodo a lanciare l'anello nel vulcano) eccoci alla base del ghiacciaio, che come tutti i ghiacciai, oramai in ritiro causa global warming, viene preannunciato da un paciugo di pietrame in movimento, sottostante ghiaccio sporco e fanghiglia in rapido movimento... oltre ai soliti canaletti d'acqua di fusione. Belli a vedersi, finché non ci infilate la gamba e vi bagnate lo scarpone.
 
 
Ma eccoci legati e ramponati mentre percorriamo il (breve) tratto di ghiaccio. Cosa per la quale, vi resta sempre una bella emozione. Il ghiaccio infatti è acqua e - ricordate queste parole - in quanto tale non sta mai fermo. L'acqua, in qualsiasi forma la incontriate, è fonte di vita si, ma anche di guai, di cambiamento, di movimento, di attenzione e a volte (spesso) di apprensione. Lo sanno i marinai, i meteorologi e ovviamente gli alpinisti.
 
Il tratto in pendenza termina ad un colletto. Ci si slega, si riprende l'assetto terrestre e si affronta, sempre con la dovuta cautela la cresta pietrosa che porta alla cima. Anche qui, qualche bel passaggio in roccia, con spunti di arrampicata mai pericolosi ma che ci fanno mimare più forti scalatori... Come vedete ci si diverte con poco e si trae grande soddisfazione.
 
Eccoci in cima. Dietro c'è un ometto, né grande né piccolo che segna la sommità. Ci si stringe la mano, si fa la foto di rito, si mangia il meritato panino (anzi due, a volte tre) e dopo aver sparato due o tre cazzate si riprende la strada del ritorno. Ci sono cime su cui resteresti volentieri a lungo, altre che non vedi l'ora di abbandonarle (e allora perché ci sali?  direte voi, perché l'avventura è il viaggio non la meta, rispondo io). Su Rothorn si sta bene. Non fa freddo anche se, come ho scritto più volte il panorama è zero e le nuvole si inseguono facendo presagire un bel temporale, che per nostra fortuna arriverà solo all'auto....

 


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