venerdì 2 settembre 2016

Slow West

Se il western è un genere che non muore mai, è pur vero che muta continuamente. Da epico (come fu in origine) a disincantato, quasi poetico, quasi hippy... Slow West trova una sua collocazione capace di mescolare "L'ingenuo" di Voltaire e "Revenant" di Iñárritu.
Un percorso da Est ad Ovest in cui si abbandona la civiltà (ma c'era, c'è mai stata?) per l'incertezza del nuovo (ma c'è ancora, ci sarà ancora?)...
In questa picaresca avventura gli incontri sono continui, quasi che lo spopolato territorio della speranza sia più popolato di quanto si immagini... e soprattutto da ogni genere di personaggio.
Buoni o cattivi? Altro bel dilemma. Nella realtà nessuno è collocabile con chiarezza: stanno tutti con un piede di qua e uno di là.
Forse è per questo che, Jay Cavendish, il nostro protagonista, giovane di nobile estrazione, capace di apparire fuori luogo (ma non come lo intendiamo noi, semplicemente di un altro luogo e capace di rendere il luogo stesso fuori posto), è l'unico ad avere le carte (e la coscienza) in regola per attraversare quasi indenne la scena.
Ma cosa cerca Jay? E soprattutto perché Silas Selleck (un pistolero di poche parole) si unisce a lui e accetta per pochi denari di condurlo a destinazione?
Intanto Jay cerca l'amore della sua vita. Rose. Che ha una taglia sulla sua testa ed è scappata dalla natia Scozia proprio a causa di un pasticcio combinato da Jay.
Poi perché questa taglia fa gola a molti... Compresi i vecchi compagni di Silas. Uno tra tutti, il notevole Payne (interpretato da Ben Mendelsohn). Se il viaggio è scoperta, questo viaggio è una somma di scoperte: esteriori ed interiori.
Ove rumore e silenzio si alternano, ove gli incontri determinano correzioni di rotta e lasciano traccia, ove anche i silenzi e le notti servono allo scopo.
Insomma, il Sundance Festival colpisce ancora. E con un genere difficile, completamente ripensato e capace di dire ancora cose nuove. Ottimo.

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