mercoledì 28 febbraio 2018

La forma dell’acqua




Premetto che sarò lunga.

L’unica cosa che prende forma in questo film non è certo l’acqua, quanto l’irrefrenabile desiderio del regista di servirci un fritto misto (uomo pesce/fritto misto… ha-ha-ha) davvero sconsigliabile se non volete rigirarvi nel letto ripensando a quanto avreste speso meglio i soldi del biglietto e del popcorn andando, magari, al bowling.
Ma poiché – si sa – film del genere vengono spesso premiati, eccoci qui a parlarne.

L’aroma dell’indigesta paella (Del Toro è nato in Messico, non in Spagna, ma passatemela) si avverte fin dalle prime scene… ambientazione artificiosa (siamo a Baltimora o a Gotham City?), citazioni colte (Carmen Miranda che canta Chica Chica Boom), tocchi d’autore (uova che bollono, autoerotismo in vasca da bagno) ed elementi strani per forza (una fabbrica di cioccolato che ti va in fiamme a qualche cento metri da casa, ma chi se ne frega) vengono scodellati tutti insieme nei primi tre minuti, quasi che Del Toro, novello oste di Trastevere, abbia bisogno di liberare in fretta il tavolo per la comitiva che arriverà al secondo spettacolo.

E poteva forse mancare l’acuta analisi sociologica? Certo che no. Quindi ce la dobbiamo vedere anche con l’amico/vicino di casa gay (che da Friends in poi non manca mai), la guerra fredda e le contraddizioni della società americana anni ’60… tanto che quasi dimentichiamo il motivo per cui siamo in sala, e cioè quella Creatura che ci aveva magnetizzati guardando i trailer e alla quale il nostro Guillermo riserva invece un’entrata in scena così modesta e repentina da far crollare in un istante tutte le nostre certezze… ma non era una storia d’amore? ma non era un fantasy? No, è il solito "pacco" e ci siamo cascati ancora una volta.

Del Toro non è nuovo a produzioni del genere, ma se film come Mimic o Hell Boy possono anche piacere, il rischio che la cena vi rimanga sullo stomaco è sempre in agguato.
La spina del diavolo, Il labirinto del fauno… meglio affrontarli con un paio di bustine di Gaviscon a portata di mano.
E anche se questo non è proprio un caso da pompierini bianchi, viene da chiedersi perché mai turbare quella che poteva essere una bella storia d’amore (forse non proprio originale, ma pazienza) con parolacce, battute discutibili, sesso esplicito e così via. Perché di perle, in quest’ostrica mal riuscita, se ne contano parecchie. Non cito alla lettera (perdonatemi, la mia memoria non è più quella di una volta), ma frasi come “Se potessi tornare a quando avevo diciott’anni consiglierei a me stesso di avere più cura dei denti e scopare di più”“Penso che un vero uomo debba lavarsi le mani solo una volta quando và a pisciare, o prima o dopo”“Ma tu sei un dio” mi fanno pensare che se questo film dovesse vincere un Oscar è perché a Hollywood ultimamente sono tutti un po' frastornati per ben noti motivi.
Come mi fa pensare il fatto che se decidessi di allagare il bagno di casa mia per sollazzarmi con Namor o l'uomo di Atlantide le spese dell'idraulico andrebbero ben oltre il budget di questo presunto capolavoro... quindi o le donne delle pulizie negli anni '60 guadagnavano una cifra o questo film è uno spot occulto per le assicurazioni sulla casa.

Ma passiamo oltre, il punto è un altro. 
Come sostengo da sempre in questi miei outing cinematografici, scelta una strada, seguila. La coerenza ci salverà, non il guazzabuglio. Una storia alla volta o nessuna storia. Love story, spy story, fantasy story e chi più story ha più ne metta non può funzionare. Certi cocktail di amore/dramma/sesso/grottesco meglio lasciarli a barman esperti tipo Almodovar piuttosto che propinarli al bancone del circolino.

Questo film non è, come ho letto da qualche parte, una riflessione ecologista, perché il rapporto tra i due esseri di mondi diversi (Elisa e l’Anfibio) viene sopraffatto dalla smania di Del Toro per tutto quant’altro possa colpire – sviandoli – la vista e l’udito dello spettatore, e non è nemmeno una riflessione socio-storica; semmai una sequela di luoghi comuni (la solitudine del “diverso”, la cecità della scienza piegata ai poteri forti, la perfetta e bacata famigliola americana, gli status symbol, i russi cattivi) che lasciano in bocca un sapore pre-masticato davvero sgradevole. Così come non bastano gli strabilianti effetti speciali della Creatura a toglierci dalla mente la sensazione di aver assistito ad una furbata in grande stile (leggi presa per il culo) in cui viene da chiedersi se forse il precipitare delle condizioni di salute dell’Anfibio sul finale non sia dovuto al fatto che il bagno in cui viene ospitato avrebbe proprio bisogno di una bella pulita.

E poi… dove ho già visto quel finale?... ah, sì, Splash – Una sirena a Manhattan.



Questo post è un contributo di Ezia, ospite del mio blog.
 

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