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giovedì 29 agosto 2019

Baku. Elogio dell'energia vagabonda

"Baku, elogio dell'energia vagabonda" è il racconto di un viaggio solitario in bicicletta, accanto all'oleodotto Baku, Tbilisi, Ceyhan (il cosiddetto BTC), inaugurato nel 2006, il "corridoio dell'energia".
Diario di una pipeline che nel cammino si trasforma in una riflessione sul mistero dell'energia: "nella capacità di meravigliarsi risiede uno dei segreti dell'energia vitale". Sono rare le persone che riescono a mantenersi in un perpetuo stato di riconoscenza di fronte al corso delle cose, a "tenere in esercizio la loro anima", come dice Montaigne.
Non perché abbiamo aguzzato la vista per vedere meglio il mondo o perché possediamo una predisposizione per il mestiere di spettatore, ma perché sentono dentro di sé l'unità del vivente. (tratto dal libro).
 
 
Diario di viaggio rincorrendo una "pipeline", tubo che trasporta petrolio, che diventa una riflessione sul mistero dell'energia… e non solo.
Così come per i libri di Bryson, si costruisce il traliccio su cui far arrampicare la pianta… il vero obiettivo del libro… il vero argomento di cui si vuole poi parlare. Qui l'autore lo fa, costruendo un percorso (fatto in bicicletta) quindi due volte difficile e vero, e legandogli intorno i tralicci del vero argomento. Lo fa però in modo talmente astuto che, finiamo per non vederlo, ma... arrivati alla fine del viaggio ed alla fine del racconto, abbiamo in mente la pianta e non la struttura che la sostiene.
 
Lo scopo del libro ce lo racconta Tesson a pagina 16 "Questo viaggio mi è stato ispirato dalla mia passione per gli oleodotti. I tubi mi ossessionano, le condotte mi incantano. Potrei stare ore ed ore a contemplare le striature disegnate dai loro intrecci sulle carte geografiche. Sembrano gli intestini di qualche dio dell'energia che ha voluto fare hara-kiri davanti alle minacce di penuria degli idrocarburi".
E il viaggio che intraprende si rifà ai due mari più noti dell'Asia "L'Aral e il Caspio sono i due bacini che restano di quell'epoca antichissima. Due lacrime lasciate lì al momento degli adii".
Ma come tutti noi, anche Tesson non è immune alle preoccupazioni che affrontiamo alla partenza, il nostro scuoterci dal quotidiano ci spaventa e al tempo stesso ci intriga: "In viaggio, il primo giorno ci si chiede perché si è partiti, chi ce l'ha fatto fare. I giorni successivi, ci si domanda come si farà a tornare indietro".
Ma allora cos'é che ci muove? Risposta di Tesson: "L'energia diserta gli esseri che conoscono troppo bene gli angoli reconditi del labirinto della loro vita, coloro che non si aspettano più nulla dagli istanti futuri e quelli che, per paura dell'imprevisto, si chiudono fra le mura dell'abitudine".
Ed allora viaggiando Tesson pensa "all'usura dell'universo. Il Sole ogni giorno un po' meno potente, i pozzi di petrolio un poco più vuoti, la pressione meno forte e io più vecchio" e che dire del petrolio? "un precipitato del tempo, nel senso dinamico del termine, che ci permette una volta raffinato, di affrancarci dallo spazio! Ma questo impasto di viventi al servizio di viventi, ci porta diritti diritti alla morte".
Così come la riflessione sulla vita: "spesso ci capita di pensare alla sofferenza che ancora ci attende. Ed è quella la causa della nostra infelicità. La prospettiva delle ore che ancora ci restano da sopportare é più pesante del fardello stesso".
Qualcuno ha scritto che "le foreste precedono gli uomini e i deserti li seguono". E' forse questo il nostro destino?
Interessante è poi la lettura che, stimolato dalla natura del suo viaggio, Tesson da della situazione mondiale e del ruolo degli USA: "La caricatura che presenta gli Stati Uniti come un predatore delle risorse di petrolio mondiali è insulsa. Fare man bassa di risorse è impossibile, nel contesto del diritto internazionale. Nel nido di vipere del Grande Gioco, gli americani perseguono un unico interesse: garantire la continuità dei flussi petroliferi. Mantenere la circolazione del greggio nella rete mondiale. I liberi movimenti del greggio sono una garanzia della stabilità dei prezzi e della sicurezza energetica mondiale". O quando parla della politica della BP, gestore della pipeline, che eroga aiuti per un perimetro di 2 km dalla tubazione, su entrambi i lati, garantendosi così una pace sociale ed una sorveglianza interessata da parte dei locali.
E allora si torna a riflettere su sé stessi: "I ricordi non servono a nulla, perché si pensa sempre che durante la nostra assenza le situazioni migliorino e si ricorre più volentieri alla speranza che all'esperienza". O quando parla di libri: "I libri sono come dei barili di greggio. In essi dorme il pensiero. Il pensiero è contenuto tra le loro pagine allo stesso modo in cui gli idrocarburi se ne stanno compressi fra gli stati del terreno. La forza delle parole per liberarsi aspetta la raffinazione della lettura".
Ed infine è lucida e nel contempo feroce il giudizio che Tesson da sui paesi musulmani: "I paesi musulmani non hanno vissuto la svolta della rivoluzione industriale. Nel XIX secolo, quando le fabbriche sputavano il loro fumo sudicio nei cieli di Liverpool, i piccoli asini di Medina continuavano a portare fascine sulla groppa. Nel 1848 le popolazioni della Umma, la Comunità, non hanno vissuto una loro primavera, né sono state trascinate dall'ondata di costituzioni degli Stati Nazione. Nel 1919 nessuno fra i paesi maomettani era indipendente. E la situazione non era granché differente al momento dello sviluppo economico del dopoguerra, quando non presero parte all'avventura tecnologica, a quella spaziale, o alla rivoluzione biogenetica della seconda metà del XX secolo. Hanno lasciato agli altri il terreno dell'innovazione. All'alba del XXI secolo gli ali conoscono il successo sul fronte dello sviluppo. La ricchezza più grande delle popolazioni della mezzaluna è il ricordo di una gloria antica risalente al Califfato. Questo bilancio, unito alla consapevolezza di non partecipare al destino del pianeta è umiliante. Ma grazie al possesso del petrolio l'Islam pensa di lavare via le umiliazioni, di ritrovare l'antica grandezza, anche se serve con il terrore".
E conclude il libro con un appello al futuro dell'umanità: "Bisogna avere gli occhi bendati per non avvertire i sintomi del fatto che un'umanità decisamente sovraffollata é di nuovo sottoposta a tensioni! Non sono più le ideologie che la agitano, né l'entusiasmo messianico che la fa insorgere, né l'aggressività dei governi che la scuote, né i nazionalismi che la attraversano, ma l'immensa pressione dei suoi bisogni e l'esasperazione per aver atteso tanto a lungo per soddisfarli. Il consumismo ci impone consumo, non per godere dei beni, ma per prevalere o almeno pareggiare con i nostri vicini, ma quale è il popolo disposto a rinunciare per primo a consumare meno, senza apparire lo zimbello di tutti?  Un discorso che lascia poche speranze.

sabato 4 novembre 2017

L'isola della noce moscata

 
Sarà stata l'assonanza del titolo: "l'isola", ma mi è sembrato naturale unire il commento tra il precedente libro e questo.. La era "l'isola delle mappe perdute" e qui "l'isola della noce moscata"... ma cosa le unisce realmente?
Certamente l'esplorazione, la geografia, la voglia di avventura... tutte cose che hanno rimpicciolito il mondo rendendolo come è oggi...
Questo testo, ci fa conoscere un periodo storico (tra il '400 ed il '600) quando, la "fame" di spezie, mosse le allora "superpotenze" per l'appropriazione delle fonti lontane da cui giungevano queste novità...
 
"Nell'Europa tra il Quattrocento e il Seicento, l'età delle grandi scoperte geografiche, le spezie erano più preziose dell'oro, così preziose che le maggiori potenze marinare e commerciali si disputarono a lungo il controllo della loro produzione e del commercio, fino a combattere vera e propria guerra.
Fra le spezie, la più ricercata era il seme della MYRISTICA FRAGRANS, la noce moscata: una sorta di panacea universale secondo i medici del tempo, capace di curare la dissenteria, la colite ulcerosa e la flatulenza, risvegliare la virilità assopita o, al contrario, di placare lo smodato desiderio sessuale, e perfino prevenire la malattia più temuta, la peste bubbonica.
Su un piano meno fantasioso ma di maggiore utilità pratica, la noce moscata era indispensabile per rallentare la putrefazione delle carni e per cancellare con il suo profumo il puzzo della carne guasta.
Per secoli, tutta la noce moscata consumata nel mondo, provenne dalle sperdute isole Banda, nell'arcipelago indonesiano, e in particolare dalla più remota e inaccessibile, l'atollo vulcanico di Run.
Il libro di Giles Milton racconta le avventure eroiche, bizzarre, ignobili, crudeli di esploratori e pirati, coltivatori e mercanti che cercarono di raggiungere e di conquistare questa vera isola del tesoro: alcuni si persero tra i ghiacci di un improbabile rotta polare; altri, come il capitano William Keeling, preferivano lunghe soste sulla via delle Indie per far rappresentare all'equipaggio le opere di Shakespeare di fronte alle coste dell'Africa; altri ancora, come il mercante inglese Nathalien Courthope, riuscirono a occupare Run e a difenderla per anni dall'assedio degli olandesi.
Alla fine Run cadde ugualmente nelle mani degli olandesi; ma in cambio gli inglesi ottennero un'altra isola: Manhattan.
Grazie allo sguardo acuto e curioso di Milton e al suo inesauribile estro narrativo, queste vicende dimenticate escono dagli archivi della storia e riempiono la nostra immaginazione con i colori e i profumi della grande avventura dei mari del Sud".
 

L'isola delle mappe perdute

I libri andrebbero letti due volte... e magari a distanza di qualche anno. Scopriremmo così, che le cose lette la prima volta sono completamente cambiate... alcune ci appariranno addirittura nuove e incredibili... potere della mente, capace di dimenticare tutto e di trattenere, cambiandone forma e sostanza a seconda del momento.
Forse è per questo che, questa recensione di libri, letti spesso oltre dieci anni or sono, apre inaspettate visioni su argomenti e vicende che, appunto, o avevo dimenticato o semplicemente erano mutate nel mio ricordo...
E' il caso di questo "L'isola delle mappe perdute" libro di Miles Harvey, dedicato ad un ladro di carte geografiche, che negli USA e Canada, fece scalpore, alcuni anni or sono, per la facilità e la destrezza con cui sottrasse documenti antichi e dall'inestimabile valore... e ancor più ne fece per il valore particolare dei documenti cartacei che rappresentano il mondo antico... veri e propri momenti fotografici del tempo che fu...
Ancora più singolare, è stato, trovare all'interno del libro, questo articolo, raffigurante un altro ladro di mappe, persona diversa da quella descritta nel testo ma comunque capace di far riflettere sulla incapacità del pubblico di salvaguardare la nostra Storia...
 
"il viaggio di Miles Harvey prende avvio dalla storia di Gilbert Bland, il ladro di mappe più famoso d'America, una sorta di Arsenio Lupin della cartografia. Affascinato dall'ambiguità del personaggio, dalle sue mille identità e dalla natura della sua divorante passione, l'autore si mette sulle sue tracce ed entra nel mondo - spesso avido e senza scrupoli - del collezionismo cartografico.
La sua ricerca lo conduce da austeri studiosi e scaltri mercanti e, a poco a poco, gli trasmette la malattia delle carte geografiche.
Harvey, sfogliando le pagine dei grandi atlanti, ritorna all'epoca d'oro delle esplorazioni e ai suoi protagonisti: navigatori, avventurieri, impostori e filibustieri.
Intorno alle antiche mappe, frutto del magico incontro tra tecnica e arte, le vicende del camaleontico ladro che, per anni, ha saccheggiato le più importanti biblioteche americane e canadesi, si mescolano a quelle di artisti, scienziati, esploratori e collezionisti, dal Mercatore della metà del '500 al magnate Graham Arader dei giorni nostri, dai viaggi reali di Colombo alle avventure romanzesche di Sir John Mandeville.
Storie e destini che si rincorrono nel tracciare una rotta e determinare una posizione: l'isola delle mappe perdute - la montagna di carte preziose accatastate sulla scrivania di un agente dell'FPI - è anche il simbolo di quel desiderio di avventura, quella voglia di orizzonti inesplorati che tutti noi abbiamo. O dovremmo avere".

venerdì 23 giugno 2017

La vocazione di perdersi

Avevamo già incontrato Franco Michieli con il testo L'estasi della corsa selvaggia ove si osservava il meccanismo che porta una persona a correre senza uno scopo e senza una meta.. solo per il gusto di riappropriarsi di un modo di essere, del nostro antico modo di essere.
Eccolo riproporsi ne "La vocazione di perdersi", in fondo l'altra faccia della stessa medaglia; perché se uno deve correre, senza meta, nemmeno necessita di un tracciato e quindi di una carta, di una bussola, di un moderno orpello tecnologico...
E' lui che pesca nella letteratura e ci rimanda a Barry Lopez "Quando viaggio, mi sforzo di conoscere il territorio come se fosse un essere umano, con la sua complicata, insondabile personalità. Aspetto che sia lui a parlare... e aspetto e aspetto".
Quali esseri (umani) viventi, possediamo una sensibilità colma di sfaccettature, una rete di sensi che mette in relazione percezioni complementari, un'immaginazione che va oltre il visibile, una cultura in grado di riconoscere significati in scenari sconosciuti; tutto con profondità e ricchezza di sfumature molto superiori a quelle della tecnologia; e con la capacità di sbagliare e di correggerci; che è la capacità più utile.
 
Poco tempo or sono avevo letto un libro di Bill Bryson una passeggiata nei boschi ed avevo trovato queste frasi "Non sono in grado di spiegare che genere di soddisfazione si provi nel poter dire, guardando una carta: Ah, ecco dov’è Dunnfield Creek o, quella laggiù dovrebbe essere Shawnee Island. Se tutte le cartine dell’Appalachian Trail fossero state precise anche solo la metà di queste, avrei goduto dell’esperienza almeno il 25 per cento in più..... Mi resi conto infatti che gran parte della mia indifferenza nei confronti dell’ambiente che mi circondava risiedeva semplicemente nel atto che non avevo idea di dove mi trovassi."
Un libro ed un modo di pensare in totale contrasto con questo testo... di là, il radicamento alla carta, al tracciato, all'uomo che domina la natura (non a caso siamo in America, negli States e nella mentalità yankee di cui Bryson è totalmente impregnato) di qua viceversa la volontà di perdersi... di restare solo con le proprie sensazioni... chi ha ragione, chi torto? Non credo sia importante... quello che conta è vivere pienamente l'evento, il viaggiare, il camminare... il riappropriarsi del ritmo lento della natura...
Resta segnata questa bellissima frase di Michieli "per farci raggiungere da ciò che ci manca, dobbiamo liberarci di qualcosa di troppo che per abitudine portiamo con noi".
 

lunedì 5 giugno 2017

Una passeggiata nei boschi

 
L'Appalachian Trail , qui ben descritto in Wikipedia , è il filo rosso della vicenda felicemente narrata da Bill Bryson, in oltre trecento pagine di diario di viaggio, zeppo di riferimenti storici e botanici (ma questo è il suo modo di scrivere) e delle tragicomiche avventure vissute su oltre 1400 km (degli oltre 3500 dell'intero tracciato) in compagnia dell'amico Katz.
 
NOTA: questa volta la recensione avviene su un testo digitale.. quindi la mia pretesa di fare una scheda cartografica riassuntiva mal si sposa con il medium... alcuni dettagli vanno approfonditi... ma credo di aver individuato il metodo.
 
 
L'Appalachian Trail ha un estensione di oltre 3500 km e percorre tutta la costa orientale degli Stati Uniti, attraversando la catena dei Monti Apalachi. E' il capostipite di tutti i sentieri a lungo percorso.
Come premette Bryson, "chi potrebbe pronunciare le parole Great Smoky Mountains o Shenandoah Valley, senza sentire l'impulso insopprimibile, per usare le parole dal naturalista John Muir, di ficcare una pagnotta e un po' di tè in una bisaccia e scavalcare lo steccato?"...
 
 
 
Sono molti i momenti ironici, come quando Katz, il socio di Bryson dichiara "ma ti sei guardato? si annusò le ascelle con una smorfia di disgusto.. Cristo! puzzo come il frigo del mostro di Milwaukee"... e come non ricordare "Un tranquillo week-end di paura" titolo del romanzo di James Dickey del 1974 e del film che ne fu tratto, e che parla di quattro uomini di mezza età di Atlanta, che partono per un fine settimana in canoa lungo l'immaginario fiume Cahurlawasle (ispirato al fiume Chattoga) e si trovano improvvisamente del tutto fuori dal loro elemento. "qualunque famiglia io abbia incontrato da queste parti ha almeno un parente in galera"...
 
I libro si può raggruppare in più parti:
 
1. I preparativi.
Molto divertente l'approccio ai negozi che forniscono materiale per campeggio ed escursionismo. Costi esorbitanti, pezzi mai completi, attrezzatura a volte esagerata, altre volte inutile, altre ancora intrasportabile...
 
2. il primo tratto percorso.
Le distanze cambiano drammaticamente, quando si percorre il mondo a piedi. Un km diventa un bel pezzetto di strada, tre km sono una distanza decisamente ragguardevole, venti km è roba da stramazzare, Ottanta km sono pressoché inconcepibili.
... D'altra parte, la vita assume una drastica semplicità. Il tempo perde il suo consueto significato. Quando è buio si va a dormire, quando fa giorno ci si alza e tutto ciò che sta in mezzo sta semplicemente nel mezzo. Una cosa fantastica.
 
3. i tratti percorsi singolarmente.
Dopo  il primo tratto percorso con Katz, Bryson decide di percorrere singoli tratti avvicinandosi con l'automobile... non certo nello spirito dell'A.T.
 
4. la storia del tracciato e la poco edificante politica ambientale americana.
L'Appalachian Trail (A.T. di seguito) fu portato a termine il 14 agosto 1937... l'incredibilmente lagnoso e pedante Henry David Thoreau pensava che la natura fosse una splendida cosa, una meraviglia anzichenò, nella misura in cui sapeva di poter tornare in città in qualsiasi momento per fare rifornimento di pasticcini e vino di malto. Quando però ebbe occasione di sperimentare la natura vera, in occasione di una visita a Katahdin nel 1846, se la fece letteralmente addosso...
L'incontro con la città fantasma di Centralia.... luogo divenuto famoso per l'incendio sotterraneo che l'ha spopolata...
 
Niente dura in America. Se il frutto di un'impresa non si rinnova continuamente viene superato, semplicemente abbandonato senza esitazioni in favore di qualcosa di più grande e ahimè, sempre, immancabilmente, più brutto.
 
In America, ahimè, la bellezza ormai la si raggiunge in macchina, e la natura o la si soggioga senza pietà, come nel caso della diga di Tocks e un milione di altri posti, o la si deifica e la si tratta come qualcosa di sacro e remoto, una cosa a sé, come l'A.T. Di rado viene in mente a qualcuno, da una parte e dell'altra della barricata, che gli uomini e la natura potrebbero coesistere con mutuo beneficio.
 
O quello con orsi e altri animali: "Qualunque cosa fosse acquattata nel folto della foresta, cagava come un leone di montagna".
 
5. i personaggi incontrati sul tracciato.
Si potrebbe dire che esistono due tipi di "escursionisti dall'inizio alla fine": quelli che affrontano la pista in una sola stagione, noti come thru-hikers, e quelli che invece vanno a tappe, detti section-hikers.
Mary Ellen: una pazza squinternata, priva di un briciolo di intelligenza, capace di rutti, grugniti, pulizie di orifizi in modo indecoroso e di critiche contro tutto e tutti... per fortuna viene abbandonata per strada nel primo tratto...
John Pollo, uno capace di perdersi nel bagno di caso. Un caso clinico...
Woodrow Murphy di Pepperell, nel Massachusetts, che fece l'intero percorso nell'estate del 1995. Alla partenza pesava 150 kilogrammi e dichiarò che si era ficcato in quel pasticcio nell'intento di perdere peso...
Tra tutti i personaggi che si incontrano sul tracciato, vi sono quelli che vanno sotto la definizione di "escursionisti Reebok", ossia gente che parcheggia la macchina, cammina per quattrocento metri, torna alla macchina e se ne va, e non fa mai più nulla di così emozionante per il resto della vita.
 
6. la ripresa del tratto finale e considerazioni.
Con tutta la sua imponente massa, un albero é un organismo incredibilmente delicato. Tutta la sua vita interna é racchiusa i tra strati di tessuto spessi come fogli di carta e che si chiamano floema, xilema e cambio, posti proprio al di sotto della corteccia e che insieme formano una sorta di camicia umida che ricopre l'inerte legno massiccio. Non importa quanto sia alto, un albero è sempre fatto di pochi kili di cellule viventi, sparse tra le foglie e radici.
La vicenda si chiude a pochi kilometri dalla meta. i due non ce la fanno più.
"Fu così che decidemmo di lasciare quel sentiero senza fine e piantarla di far finta di essere montanari perché non lo eravamo".
 
 
 
 
 

lunedì 2 giugno 2014

L'America dimenticata - Lucio Russo

 
"La quasi totalità degli studiosi ha finora negato l'esistenza di antichi contatti tra l'America e il Vecchio Mondo, ma in questo libro, indagando su una questione apparentemente secondaria di Storia della Geografia (l'origine di un grossolano errore di Tolomeo), si dimostra che le fonti ellenistiche dell'antico geografo conoscevano latitudini e longitudini di località dell'America Centrale.
Questa scoperta costringe a rivedere sotto una nuova luce molti aspetti della Storia.
Da una parte mostra come il crollo delle conoscenze che investì il mondo mediterraneo all'atto della conquista romana sia stato ben più profondo di quanto in genere si creda.
Dall'altra apre nuovi possibili scenari di lungo periodo, lasciando intravedere la possibilità di sostituire all'idea oggi dominante dell'evoluzione indipendente e parallela della civiltà un'unica storia, connessa sin dalla remota antichità". (Tratto dal libro).
 
E se prima di Colombo e prima dei Vichinghi, l'America fosse già stata scoperta?
Perché non ascoltare Lucio Russo, mentre con argomenti serissimi e spesso inconfutabili, racconta questa incredibile avventura?
Fenici e Cartaginesi, forse gli stessi Etruschi, ebbero modo di raggiungere le Antille, e forse la terraferma, scoprirono l'America.
Ma perché non vi sono tracce e non rimase memoria ai popoli che vennero dopo di loro? Una domanda a cui cerca di rispondere il piccolo ma ben condensato testo "L'America dimenticata" facendoci scoprire aspetti inquietanti: ananas rappresentati dai Romani, Carri con ruote tra i giocattoli Maya (popolo privo di questi mezzi), uomini barbuti descritti da popoli glabri e appartenenti al loro lontano passato, malattie che colpirono in passato e poi scomparvero, mentre i America continuarono a "infastidire", calcoli astronomici e geografici che fanno riscoprire la Groenlandia e l'America. Cosa c'è di vero? A sostegno della tesi molti dati, un libro che susciterà polemiche e discussioni ma che ci fa sognare e che soprattutto mette in discussione il primato occidentale a favore di un antichità che sapeva tantissimo e che venne annientata.


giovedì 8 maggio 2014

Estetica del Polo Nord

"A dieci anni, il piccolo Michel chiese al padre, umile contadino che non si era mai mosso dal suo villaggio normanno, dove sognasse di fare un viaggio.
La risposta fu: "Al Polo Nord".
Trent'anni dopo, Onfray realizza il  desiderio del padre e scrive il resoconto di un'esperienza destinata a rivelare profondità inattese: si tratta del libro che avete in mano, al contempo un diario di viaggio, una meditazione sulle civiltà che svaniscono, sui misfatti dell'industrializzazione e sulla saggezza dei popoli tradizionali.
E anche una testimonianza toccante e lucidissima sulla lealtà e la pietà filiale.
Completato da foto straordinarie e, dall'elogio funebre che Onfray ha pronunciato per il padre nel dicembre del 2009, Estetica del Polo Nord è uno dei libri meglio scritti e, com'é stato detto, più caldi di Onfray: la costante e commossa vicinanza col padre, si direbbe, ha acuito la sua sensibilità e l'ha aiutato a tracciare imprevedibili ponti fra la fascinazione del gelido nord e la nostalgia epicurea del nostro sud". (tratto dal libro).

 
 
Occorre amare la natura e il Mondo, anche quello estremo, che per molti non ha nulla da dire.
Ma che per Onfray, nella sua semplicità, nell'esclusione dei fronzoli, nella siderale necessità di sopravvivere, vede la realtà meglio che in mezzo alla lussureggiante vegetazione.
Sassi, ghiaccio, acqua, animali feroci, silenzio, vento, terribile freddo.
Questi gli elementi.
Eppure, ne emerge un quadro poetico e profondo.
Poi gli Inuit. Colti nella loro disperazione e nel baratro che li attende.
Ed infine l'amato padre, che parte in sordina e poi si impossessa della pagina scritta sino a divenire protagonista. Pura poesia.

L'economia sociale in Italia - Rivista