martedì 23 giugno 2020

Walter Gropius

I metodi della produzione manuale hanno profonde radici nel carattere tedesco.
La Germania conobbe con notevole ritardo l'industrializzazione e da una totale indifferenza per la macchina si passò ad una sua accettazione cieca, con gravi conseguenze umane e psicologiche.
Tale incertezza si riflette nell'architettura.
I nostri sensi, schiavi di abitudini formatesi nei secoli automaticamente vanno a cercare i sostegni di parti a sbalzo come sulle scale, che Gropius rielabora eliminando la gabbia in pietra per il ferro e vetro.
Una nuova concezione spaziale, con il suo impulso verso elementi e superfici liberamente sospesi.
Per Gropius il tetto è degno di importanza come le fondazioni; la costruzione è un tutt'unico.
L'espressionismo tedesco che nasce in un clima di diffusa incertezza formula le lamentele di un'umanità maltrattata.
A differenza di altri movimenti l'espressionismo manca della capacità di additare una via di uscita.
Questa fu la premessa della nascita della Bauhaus.
Bauhaus: unire l'arte all'industria e trovare la base per una sana architettura contemporanea.
La Scuola della Bauhaus nacque dopo la guerra ad opera di Gropius con l'unione della scuola di architettura e l'arte applicata.
L'attività della Bauhaus può essere apprezzata soltanto quando sia stata compresa la concezione su cui si fonda la pittura moderna.
Nella Bauhaus si fece il tentativo di unire l'arte e la vita quotidiana, l'arte e l'industria con l'architettura come mediatrice.
L'artigianato sperimentale portò alla creazione di articoli industriali.
Il perno su cui si basava la Bauhaus era la scuola e gli edifici circostanti vero esempio di ricerca della perfezione.
L'occhio non può affermare in uno sguardo tutto il complesso é necessario percorrerne tutti i lati: sotto e sopra.
La pianta si protende all'esterno senza un qualsiasi tentativo di chiudersi.
Il fatto che l'opera di un uomo abbia mantenuto il suo carattere di attualità per due o tre decenni dimostra una sicurezza dono di pochi artisti.
L'idea dominante della Bauhaus é anche l'idea della nuova unità, la raccolta delle molte arti, tendenze in un tutto inscindibile radicato nell'uomo.
Walter Gropius fu il primo che, interpretò per noi la rivoluzione industriale in termini di architettura.
Assimilò le capacità e le potenzialità della società industriale rendendo compatibile meccanizzazione e libertà individuale.

giovedì 18 giugno 2020

Basic

Dovrebbe essere un bel film. Una bella trama giocata su due fronti, anzi tanti… l'azione ove muore il cattivo sergente West, le indagini per appurare l'accaduto, le azioni che hanno preceduto la morte, le supposizioni… le versioni diverse… insomma un patchwork… che potrebbe reggere se non fosse che ad un certo punto la recitazione suona talmente falsa e prevedibile da farti cadere le … eppure c'é Travolta, c'é Samuel… tanti bei militaroni… una storia abbastanza credibile (all'inizio)… ma poi tutto si edulcora in un ridicolo tentativo di andare avanti a tutti i costi… per far credere che nessuno è ciò che realmente è … per favore pietà.
E dire che Connie Nielsen ce la mette tutta per segnare il perimetro d'azione e ritagliarsi uno spazio tutto suo tra due mostri sacri come T. e S.L.J. eggià! mica facile. Ne esce vittoriosa perché gli altri recitano con il freno a mano tirato… peccato.

Possette e Alpe Vallescia

Non capita tutti i giorni, e devo dire che è tanto che aspettavo questa giornata. In montagna con Bianca, a rivedere le mie montagne… con un passo diverso e con uno spirito diverso.. cercando nel piccolo di illustrare il grande. Insetti, fiori, montagne e paesaggi… tutto si mescola e tutto ritorna. Una giornata bellissima. E tanto basta.
La montagna a giugno regala fioriture ed insetti, colori sgargianti, verde forte (soprattutto se piove) e distese di vita… ad agosto i prati non hanno più nulla da raccontare… a quel punto meglio aspettare le luci ed i colori dell'autunno…



















Che cos'é un intellettuale

L'indagine sul ruolo degli intellettuali è apparsa sempre legata, pere motivi più che ovvi, alle questioni attinenti ai rapporti tra sapere e potere, tra pensiero e azione, tra teoria e pratica, tra utopia e realtà…
E' giusto affermare, come accade sempre più spesso, che l'intellettuale, genericamente inteso, debba essere giudicato ormai un Attore Sociale senza futuro, soltanto un vestigio del passato?
Mi sembra una conclusione troppo sbrigativa per essere attendibile…
La dinamica della storia delle idee al di fuori della storia degli intellettuali che hanno reso possibile la dinamica del Mutamento e dell'Innovazione.
E' impensabile senza ricollegarsi a quegli intellettuali che, con il loro pensiero indocile, anzi spesso sovversivo, hanno contribuito a mettere in crisi i valori fondanti dei dogmi, delle credenze, dei costrutti ideologici vigenti nelle società e culture di appartenenza.
Benché la vocazione di questi uomini sia stata, in sostanza, la stessa, ossia la vocazione a dissentire, a pensare diversamente, lo stendardo ideale che innalzavano non è stato sempre il medesimo.
Neppure il bersaglio del loro dissenso.
Per rendersene conto basta percorrere l'elenco delle qualifiche che, nel corso della storia, sono state loro attribuite: cinici, stoici, eretici, mistici, gnostici, scismatici, millenaristi, goliardi, protestanti, melanconici, utopisti, illuministi, anarchici, socialisti.
Ma non è una forzatura in un'unica famiglia uomini che esprimono correnti di pensiero nate in contesti tanto differenti: essi hanno in comune la loro Eterodossia.
Fino a prova contraria, non vedo alcunché di ardito nel supporre che essi personifichino, ognuno a suo modo, una qualche forma di eterodossia.
Rilevo un altro aspetto della questione dell'eterodossia. E' indubbio che c'é un elemento che accomuna, sul piano concettuale, tutti gli eterodossi di tutte le epoche e in tutti i contesti sociali e culturali.
Esso è facilmente intuibile ricorrendo all'etimologia greca della parola: héteros: altro, diverso; dòksa: opinione.
In breve, gente con un'altra opinione. Il che ci fornisce una chiave interpretativa giusta, ma ancora troppo vaga.
Cerchiamo di precisarla: per eterodossi si devono intendere qui tutti coloro che, in un modo o nell'altro, agiscono in contrapposizione ai dogmi, ai corpi dottrinali, ai modelli di comportamento, agli ordinamenti simbolici e anche gli assetti di potere esistenti.
Tutta gente che, come Guglielmo Lunga Barba nella Londra del 1196, voleva "fare cose nuove" (moliri nova). Ribelli, oppugnatori, antagonisti, trasgressivi, insomma dissidenti per vocazione, e in certi casi apertamente eversivi, rivoluzionari. La tradizione degli eterodossi é sicuramente la tradizione degli intellettuali.
Ancora un libro sugli intellettuali? Non rischieranno, e noi con loro, di guardarsi l'ombelico e di non vedere più il mondo? Oppure, di intellettuali c'é e ci sarà sempre bisogno?
E se invece servisse (di fronte al mutare dei media) ripensare questa figura? Dare un nuovo ruolo a questi grilli parlanti? E se invece scoprissimo che intellettuale è chiunque si pone domande per gli altri scontate o inutili? E come ovviare al rumore (web, social, televisione…) che ha sommerso le voci critiche rendendo tutto illeggibile, digerito e masticato, pronto e semplice… togliendo sapore alla ricerca, alla riflessione, al testo scritto… ?
La libertà dell'individuo non è il privilegio di un intellettuale di scrivere ciò che gli piace scrivere, ma di essere una voce che può parlare a quelli che sono zitti (those who are silent). La libertà però di far sentire la propria voce è inseparabile dalla libertà di ascolto di "quelli che sono zitti".
Pensiamo a quanto accaduto in questi tempi con il virus. Ci si aspettavano risposte serie, è arrivato il caos: "L'esperto non è altro che un ruolo, e come ogni ruolo presuppone un'aspettativa"...
E come cancellare l'aura negativa dedicata a chi pensa contro corrente? "Questo modo di intendere il pensiero di Machiavelli è ormai tanto radicato tra la gente che, per esempio, l'espressione Old Nick (Satana) allude, in angloamericano, appunto a Niccolò Machiavelli, anche se questo originario nesso semantico è andato perso e nessuno ne è più consapevole.
Agli inizi del Settecento, Daniel Defoe aveva intravisto una nuova prospettiva occupazionale per gli "uomini di scrittura": il giornalismo. Non a caso egli viene considerato il fondatore del giornalismo moderno.

Forse ripartendo dal principio… dal poco di certi parti del mondo ove ad esempio: "Soltanto in alcuni paesi del Terzo Mondo, così almeno sembra, il tradizionale ruolo dell'intellettuale sacerdote regge ancora. La verità é che il ruolo oracolare degli intellettuali non viene più richiesto e, quando accade, non è in buona fede, ma soltanto per ragioni palesemente contingenti.
Fatto sta che il ruolo oracolare dell'intellettuale è diventato superfluo perché tutta la società é diventata a suo modo oracolare…
E che dire dei politici che hanno sottratto il ruolo di oracolo, divenendo tutt'uno con il verbo? Forse perché in un quadro di assenza di idee, di progetti, di sogni, di futuro, tutto è spiegabile e non serve più questo ruolo?  
"Leopold scriveva: "Gli uomini di cui sappiamo tutto ciò che vogliamo sapere non hanno prestigio".
Ciò vale sino ad una certa soglia critica, dopodiché la sua fisionomia, i suoi gesti, le sue parole, ogni giorno sempre gli stessi, mai presi sul serio dal telespettatore, diventano solo rumore di fondo".
A meno che, l'intellettuale accetti di scendere nell'arena usando le stesse armi dei suoi nuovi avversari, battere il pudore, abbandonare riti e procedure antiche… "Si può dire che questo intellettuale è afflitto dalla sindrome Stentore. Come si ricorderà nell'Iliade, Stentore era quel guerriero acheo in cui si impersonava la dea Hera, e che durante il combattimento "tanto forte gridava quanto cinquanta degli altri". Occorre che venga individuata una nuova figura sociale capace di continuare a stimolare il pensiero ossia di continuare a problematizzare il nostro sapere sugli uomini e sul mondo…
Maldonado non dice tutto, ma qualche spiraglio c'é, qualche idea arriva… riflettiamo, diventiamo intellettuali.
 
 
 
 
 

Tecnica del colpo di Stato - Curzio Malaparte

Uscito per la prima volta in Francia nel 1931 grazie alla mediazione di Daniel Halévy (e in Italia solo nel 1948), immediatamente commentato da Trockij, bruciato dai nazisti sulla piazza di Lipsia e costato al suo autore l'arresto e il confino a Lipari per "manifestazioni di antifascismo compiute all'estero", "Tecnica del colpo di Stato", spietata dissezione delle varie tipologie di golpe e delle loro costanti, viene subito avversato da tutti. Sta di fatto che ancor oggi lo si legge d'un fiato: non solo per l'"attualità" della sua analisi di ingegneria politica, ma soprattutto per lo stile, insieme icastico e concitato, geometrico e visionario, dove Malaparte sembra assumere le cadenze di un allievo di Tacito. Stile che risalta in tutte le sequenze su trionfi e fallimenti del golpismo classico, a partire dalla violenta "campagna di stampa" con cui Cicerone smaschera la congiura di Catilina, ma che tocca l'acme nelle ricostruzioni dei colpi di Stato dei primi decenni del secolo scorso, come nelle pagine sulla imminente rivoluzione a Pietrogrado, con le "dense nuvole nere sulle officine di Putilow" cui si contrappone la nebbia rossastra del sobborgo di Wiborg dove si nasconde Lenin. E nella parte finale spiccano, ritratti con rara vividezza, i volti e le psicologie degli autocrati a capo dei vari totalitarismi: Stalin, Mussolini e Hitler (tratto dal libro).
 
Libro potente. Senza dubbio. Testo che merita rispetto, non fosse altro che per l'accoglienza che ebbe, dal confine ed il carcere per l'autore, e per il rogo che toccò al libro da parte dei nazisti…
Che a difendere la libertà ci si rimette sempre.
E troviamo qui ancora una volta una discussione, una riflessione sugli uomini liberi… sugli intellettuali.
Forse hanno ragione tutti coloro che ancor oggi, in questa Europa libera da Hitler e da Mussolini, disprezzano e perseguitano gli uomini liberi, tentando di soffocare il sentimento della dignità personale, la libertà di coscienza, l'indipendenza di spirito, la libertà dell'arte e della letteratura.
Che ne sappiamo noi se gli intellettuali, gli scrittori, gli artisti, gli uomini liberi, non sono una razza pericolosa, perfino inutile, una razza maledetta?
Non è vero, come lamentava Jonathan Swift, che non ci si guadagna nulla a difendere la libertà.
Ci si guadagna sempre qualcosa: se non altro quella coscienza della propria schiavitù, per cui l'uomo libero si riconosce dagli altri. Poiché "il proprio dell'uomo, non è di vivere libero in libertà, ma libero in una prigione".
 
Si concentra poi, Malaparte, su una visione tecnica del colpo di Stato, cosa che per lui è meramente azione tecnica… svelando che, progetti, visioni, dottrine politiche ed economiche, sono meri fronzoli utili per agghindare il vero elemento fondante: il potere!
"I catilinari, cioè i fascisti e i comunisti. I catilinari di destra temono il pericolo del disordine: accusano il governo di debolezza, d'incapacità e d'irresponsabilità, sostengono la necessità di una ferrea organizzazione statale e di un severo controllo di tutta la vita politica, sociale ed economica.
Sono gli idolatri dello Stato, i partigiani dell'assolutismo statale. Nello Stato accentratore, autoritario, antiliberale e antidemocratico, essi fanno consistere l'unica garanzia dell'ordine e della libertà, l'unica difesa contro il pericolo comunista. "Tutto nello Stato, niente fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato" afferma Mussolini.
I catilinari di sinistra mirano alla conquista dello Stato per instaurare la dittatura della classe operaia. "Dove c'é libertà non c'é Stato" afferma Lenin"... e anche se i punti di vista divergono… l'elemento che li unisce resta sempre il potere… ma a questo punto cosa deve sapere chi vuole prendere il potere e chi vuole difenderlo?
Malaparte è lapidario: "L'arte di difendere lo Sato moderno é regolata dagli stessi principi che regolano l'arte di conquistarlo: ecco ciò che si può chiamare la formula di Bauer"...La guerra si fa per vivere, non per morire.
Su tuti i colpi di Stato, la regola tattica dei catilinari è il tagliar corto, quella dei difensori dello Stato è il guadagnar tempo.
Il Parlamento è il complice necessario, non volontario, e al tempo stesso la prima vittima del colpo di Stato bonapartista.
Bonaparte é un caposcuola: tutti i militari che, dopo di lui hanno tentato d'impadronirsi del potere civile, si sono attenuti alla regola di apparir liberali fino all'ultimo, cioè fino al momento di ricorrere alla violenza.
Dittatura non è soltanto una forma di governo, è la forma più completa della gelosia, nei suoi aspetti politici, morali e intellettuali".
 
Vi sono poi autentiche perle messe qua e la che vanno assaporate: "Ciò che Voltaire diceva ai Gesuiti: "Pour que les jésuites soient utiles, il faut les empécher d'étre nécessaire".
Sieyès ha tutto previsto e tutto disposto: ha perfino imparato a montare a cavallo, per il caso di un trionfo o di una fuga.

In realtà lo spirito di Hitler é uno spirito profondamente femminile: la sua intelligenza, le sue ambizioni, la sua volontà stessa, non hanno nulla di virile.


E' un uomo debole, che si rifugia nella brutalità per nascondere la sua mancanza di energia, le sue debolezze sorprendenti, il suo egoismo morboso, il suo orgoglio senza risorse.
Nella vita dei popoli, nelle grandi sciagure, dopo le guerre, le invasioni, le carestie, vi è sempre un uomo che esce dalla folla, che impone la sua volontà, la sua ambizione, i suoi rancori, e che "si vendica come una donna", su tutto il popolo, della libertà, della felicità e della potenza perdute".

 
Il testo si conclude con una doverosa precisazione: "La ragione di questo libro non è di discutere i programmi politici, sociali ed economici dei catilinari: bensì di mostrare che il problema della conquista e della difesa dello Stato non è un problema politico, ma tecnico, che l'arte di difendere lo Stato é regolata dagli stessi principii che regolano l'arte di conquistarlo".
Attuale, ingombrante, a tratti spassoso… impossibile non leggerlo.

domenica 14 giugno 2020

Creed II

C'é veramente poco da fare. E poco da dire. Di fronte all'ennesimo episodio del grande Rocky, l'unica vera grande invenzione di Stallone (in termini di serialità, vivaddio, ha fatto ottimi film passati sotto silenzio e poi ha fatto quella gran boiata di Rambo… o meglio: ha fatto un eccezionale primo episodio e... invece di fermarsi a quello ne ha fatto una penosa serie… fatti suoi e del botteghino).
Creed II. Ovvero il figlio di Apollo, ad una svolta nella vita, affronta il figlio di Ivan Drago, vero reietto in cerca di vendetta… Ancora una volta la dinamica è la stessa: la famiglia, gli affetti… (ci sono da una parte, ma vanno riconquistati, mancano dall'altra e si desiderano senza riuscire da dargli un nome ed un volto)… psicologia spicciola a fiumi… un figlio abbandonato dalla madre ed un padre che vede in lui solo il riscatto… questo è Creed II... Dall'altra parte, mi spiace dirlo, ma il figlio di Apollo (non dite Apelle per favore) ci fa la figura del viziato bauscia… quello che ha vinto tutto, quello che si vuole sposare con la cantante, quello che la mamma gli lascia fare tutto quel che vuole… quello che, basta che gli fanno notare che ha torto e lui si offende e volano stracci… Viktor Drago invece (ottimamente recitato da Florian Munteanu) è una figura complessa… arrabbiato con il mondo, va in crisi quando rivede la madre… ha una ferocia incredibile, ma poi crolla di fronte al padre ed alle sue debolezze… Come andrà a finire non sta a me raccontarlo… lo sapete già… ma la trama rende il suo meglio quando costruire la sfida, le da contorno, la rende interessante e ci fa pregustare il mondo del pugilato… che poi non è altro che il mondo odierno in piccolo… ma senza tanta ipocrisia.

venerdì 5 giugno 2020

Rambo - Last blood

Se si chiama "Last blood" ci sarà un motivo! Vorrà dire che abbiamo finito il sangue? Che l'ha versato tutto? Che ne è rimasto ancora e non sa dove cacciarlo?
A guardare la faccia da bisteccone imputridito del buon Stallone, mi viene da dire… perché? ma perché? Chi ti ha obbligato? Chi, con la forza, con la violenza, con rabbia incredibile ti ha obbligato a farlo sto minchia di inutile film? E la trama? Chi mizzega ha scritto la trama? Tua nonna in carriola?
Ma ce l'hai la vergogna? Un film che andrebbe catalogato alla voce "stereotipi"... messicani con pistola, tatuaggi, bottiglia d'ordinanza, accampati a bordo strada a fare festa e minacciare il prossimo… tratta di ragazze per prostituirle, poliziotti corrotti, cattivoni senza alcun freno… musichette d'ordinanza… e lui, gonfio come un pallone, sfasciato senza pari, oramai da Menotti e Bassani… eccolo li. A vendicare la morte dell'incauta nipote. Incursione in Messico, prima le prende, poi le da, poi se li trascina dietro sino a casa… dove tra un tunnel, una freccia, una granata… rivediamo tutto il campionario del vecchio Rambo… Se giri un altro episodio chiamalo "Rambo - mo basta" grazie .

Enemy

Sulla complessità del rapporto con le donne è già stato detto e scritto di tutto… e pure il cinema ci ha donato grandi opere (penso a Kramer contro Kramer, per fare un esempio) o incredibili cagate, come questo "Enemy"... che poi a pensarci bene, la donna paragonata al ragno, che ti avvolge e non vuole mollarti più… a lui che non vuole assumersi le proprie responsabilità… al punto da crearsi un doppio a cui chiede di farsi carico dei suoi errori e delle sue responsabilità (una bad company insomma) uno a cui dare la colpa delle proprie debolezze… al che mi viene da pensare, e in tutto questo bel racconto misogino, la donna? che minchia deve fare per farsi rispettare, anzi no, semplicemente per avere voce in capitolo.. comunque non bastano i colori seppia, la città dolente, desolata e vuota, per donare pathos all'opera.. non basta il bel muso di Jake Gyllenhaal e nemmeno le zinne di Mélanie Laurent a tirarci su il morale… e il ragno pendulo che domina la città… quasi un ritratto dell'invasione della Terra… a questo punto, due sono le soluzioni. Spegnere e andare a dormire… oppure al grido di "Klaatu, Barada, Nikto" prendere a bastonate il televisore e uscire a farsi un bicchiere... 

Il diavolo sulle colline - Cesare Pavese

La storia narra di tre amici inseparabili, l'io narrante, un bravo ragazzo di città, Pieretto, il più intellettuale dei tre e Oreste, semplice e ingenuo che viene dalla campagna.
Costoro nel loro vagabondaggio per le colline incontrano Poli, il figlio dei padroni della tenuta IL GREPPO, sotto l'effetto della cocaina e attirati dai suoi modi anticonformisti e cordiali gli terranno compagnia nei suoi giri in macchina.
Vengono così a conoscere la squallida storia di Poli, che vuole liberarsi dell'ex amante Rosalba, la quale al contrario, fa di tutto per trattenerlo.
Una sera, durante un ballo, Rosalba, che poi si suiciderà, ferisce Poli con un colpo di rivoltella e i tre giovani, finita l'avventura, ritornano alle loro vite, per ritrovarsi, alla fine di agosto, a casa di Oreste.
I tre amici riprendono i loro vagabondaggi per le colline godendo della natura, finché vengono a sapere che Poli è ritornato al Greppo e decidono di andarlo a trovare.
Poli si trova alla villa insieme alla moglie Gabriella e ambedue insistono perché si fermino.
Qualche giorno dopo ritornano alla villa e, presto incuriositi e in fondo attratti da questo mondo e dal fascino di Gabriella, decidono di fermarsi.
Oreste è particolarmente attratto dalla donna che gli mostra apertamente il suo interesse e l'io narrante, che si rende conto del pericolo, vorrebbe andarsene, ma Pieretto lo convince a fermarsi.
Poli dopo una festa si sentirà male e Gabriella portandolo a Milano per cure lascerà i giovani al paese.
Per il personaggio di Poli, Cesare Pavese si era ispirato all'amico Conte Carlo Grillo.

Romanzo non compreso nella sua modernità, per il dialogo introspettivo dei personaggi, per la complessità del detto e non detto, del torbido che si nasconde dietro i comportamenti, della difficoltà nel trovare un proprio posto nel mondo. Alcuni scrissero che non poteva essere accettato né dai proletari che dai borghesi… eppure… alcuni passaggi sono fulminanti. Superano il tempo e il luogo.
Recentemente ho letto un bellissimo estratto della recensione data da Paolo Giordano ad una nuova edizione di questo testo. E' grazie a lui che ho compreso: un romanzo sul perdersi dell'innocenza della giovinezza. Il confronto con la sessualità… il diventare grandi e confrontarsi con l'incomprensibile mondo dei grandi… l'atteggiarsi a grandi, per imitazione, per necessità, per essere riconosciuti, rispettati e per… perché bisogna.
Alcuni estratti:  Amicizia e donne: "Le donne, quelle che separano, sarebbero venute più tardi. oppure "Tutto una donna può accettare ma non che l'uomo abbia una crisi di coscienza"...
Sensazioni: "Mi si accapponò la pelle pensando che come il raggio di un faro nella notte una simile voce giungeva dappertutto, sui versanti, in fondo ai sentieri, nei grumi d'ombra, dentro le tane e le radici, e tutto faceva vibrare", sembra quasi che quell'urlo esca dal libro.
O ancora del rapporto tra ricchi e poveri: "Avrei voluto non salire perché adesso capivo che con lui non si poteva esser noialtri. Si doveva ascoltarlo e accettare il suo mondo rispondendogli a tono. Esser cortesi con lui voleva dire fargli specchio".
Pensiamo infine al pensiero espresso sui figli dei padroni: "La colpa è di questo mondo dove i padri fanno troppi milioni. Così invece di partire da riva come tutte le bestie, i figli già si trovano nell'acqua profonda quando ancora non sanno nuotare. E allora bevono".


martedì 2 giugno 2020

Corni di Canzo

 
Prima uscita dopo il "loooookdown" imposto dal Coronavirus.  Andiamo a respirare aria buona verso i Corni di Canzo… tra Lecco ed Erba. Terre per me sconosciute. Ambiente molto bello, certo antropizzato per molta parte, ma a suo modo intrigante. Bello il continuo cambiare del paesaggio, il bianco calcare, le torri da aggirare, salire ed ammirare da tutte le angolazioni possibili. Molta la gente che nel corso della giornata, ci appare. C'é tanta voglia di libertà e di riprendersi spazi, tempi e benessere, in parte negato da questa doverosa e necessaria clausura. L'assaporiamo, riprendiamo ritmi e appagati completiamo una bellissima giornata all'insegna della speranza di aver scampato un memorabile bruttissimo episodio. Ogni singola cima salita ci dona visioni, prospettive ed angolazioni diverse. Non stiamo parlando di quote particolari, ma certamente il bel tempo ci avrebbe regalato panorami ben diversi. Ma non andiamo per il sottile, l'importante è poterci essere, poter vivere di questa bellissima natura che sa donare a chi voglia, con un poco di fatica, assaporare sensazioni che la pianura difficilmente, con il suo andirivieni, concede. Torniamo a casa con un diverso sapore in bocca… forse la sensazione di aver goduto dell'inappagabile beneficio che le terre alte concedono.
 








































Manuale di co-programmazione