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domenica 26 maggio 2024

Bianco


Per Sylvain Tesson la vita è movimento.
Nell'arco di quattro inverni, accompagnato dall'amico Daniel Du Lac, vincitore della Coppa del Mondo di Arrampicata, guida alpina di alta montagna, pioniere di vie estreme, compie con gli sci la traversata delle Alpi, da Mentone, sulla costa francese, fino a Trieste, passando da Italia, Svizzera, Austria e Slovenia.
Ai due viaggiatori, si aggiunge poi Philippe Rémoville, entusiasta alpinista incontrato in un rifugio.
Insieme hanno così percorso 1.600 km e superato 60.000 metri di dislivello.
Ogni singola giornata è una sfida contro il freddo e la fatica; le soste nei rifugi diventano occasione per conoscere personaggi indimenticabili, da un canonico dell'Ospizio del Gran San Bernardo al figlio dello studioso Jean Starobinski, guida alpina ed esperto del mondo dell'arte.
Immerso in un panorama che racchiude una forza selvaggia e una potenza trascendentale, Tesson si confronta con la bellezza e con il vuoto, con lo sforzo fisico e mentale, col silenzio della natura e il costante rumore di fondo del cervello al lavoro.
Vivere lo slancio del gesto perfetto e la mortificazione di una caduta, riposare in rifugi vuoti a disposizione degli alpinisti solitari, scoprire che il vero lusso non sta nella raffinatezza di un oggetto o nell'abbondanza dei piaceri, ma nella minestra dopo la fatica, nella contemplazione di un fuoco dopo il gelo: "il lusso consiste nella cessazione dello sforzo. Il lusso è compimento. L'uomo alle prese con la montagna, con la luce infinita delle Alpi, scrive Tesson, non migliora, non si redime, non si trasforma".
"Quando raggiunge altezze meravigliose vi trasforma la sua miseria",
Bianco sorprende per lo sguardo privo di arroganza, per l'assenza di ogni fittizia esaltazione.
Non c'é la mistica della solitudine eroica nella natura madre e matrigna, o il culto della purificazione  nell'aria cristallina delle vette.
C'é un solo viaggio, fuori e dentro di sé, e un sogno di bambini, quello di avventurarsi nel mistero del mondo.

Pagina 131 - Tipico delle traversate: un oggetto appare all'orizzonte, sembra irraggiungibile, si avvicina, se ne comincia a parlare, si prosegue, per una sera si dorme ai suoi piedi, l'indomani lo si oltrepassa, ancora un giorno ed è perduto. Come nella vita, tutto si annuncia, tutto arriva, tutto muore. Quel che abbiamo davanti sarà presto finito, e di qui a poco saremo presi dalla nostalgia di qualcos'altro che al momento non conosciamo.

Pagina 186 - Omnia mea mecum porto. "Porto con me tutto ciò che possiedo". cioé i pensieri, i sogni e i ricordi, il vero fardello dell'uomo. La locuzione tanto apprezzata da Cicerone si poteva leggere alla lettera ed applicarla alla montagna.

 Pagina 218 -  Il nuovo ordine produttivo ha istituito la permanenza dell'impermanente. La richiesta di cambiamento ha finito per ossessionare l'umanità. Sempre di più, sempre diversi, sempre altrove. Da qui la necessità di vivere in fretta. Poiché tutto si trasforma, saremo sempre in ritardo. Così minacciati dall'obsolescenzam il risultato non sarà mai soddisfacente: frustazione, risentimento, violenza.

venerdì 26 maggio 2023

AKA

Ogni Stato ha il suo supereroe che si schiera contro il potere, un fuoriuscito che, ad un certo punto della sua carriera, si accorge che il sistema è marcio e lui deve guardare il suo cuore, la sua coscienza e porre rimedio.
Non fa eccezione la Francia, con questo film, devo dire, non male, con una trama scontata, ma capace di accattivarsi le simpatie per gli amanti del genere. Visto in lingua originale, mi riallaccia alla cultura d'oltralpe ed agli amici francesi. Fa da contorno una certa lezione morale sui legami con le colonie ed un certo imperialismo mai venuto meno...
 

martedì 11 aprile 2023

Re dell'ombra


 Per fortuna non sono solo i film stranieri, ambientati in Italia, ad essere pieni zeppi di luoghi comuni e fatto pure malissimo... per fortuna.. oppure no, fatto sta che questo "Re dell'ombra" vince a mani basse sul peggior luogo comune nel vivere in Francia... marocchini e africani in genere sono delinquenti, i pochi onesti sono dei paria malvisti, il quartiere è in tutto e per tutto Casba... il povero ragazzino perde la vista per il malocchio e attraverso questa strada la ritrova... il fratellastro cattivo non si pente ma poi nel morire viene perdonato... la droga, lo spaccio, il racket, il pizzo... tutti vestiti con tute da ginnastica in materiali improponibili (minchia chissà che puzza)... vale la pena vedere questo film? Temo di no. A meno che si voglia fingere che la banlieue sia un fiore in attesa di sbocciare non appena gli è data l'occasione. 

giovedì 2 marzo 2023

Niente di nuovo sul fronte occidentale


Bellissimo film, realizzato sulla trama del noto romanzo di Erich Maria Remarque, pseudonimo di Remark, veterano di guerra.
La Prima Guerra mondiale vista dalla parte dei perdenti. In una nuova veste ove l'espressione dei visi, l'apatia, la disperazione, l'inutilità e la ferocia si affiancano ad una ricostruzione dei dettagli, dei combattimenti e dei mezzi davvero incredibile.
Un film ove la follia umana viene manifestata ed ampliata a causa della tecnologia messa al servizio dell'uomo. Uomo che, nella sua ferocia, dimostra la sua origine tribale, animale e insulsa. Lo scorrere del tempo in trincea, l'abbruttimento, l'aggrapparsi a piccole cose (un insetto, un fazzoletto femminile, un'amicizia, la lettera da casa) e il tentativo di uscirne vivi contro la follia dei generali e la ragion di Stato... da vedere assolutamente!

domenica 15 gennaio 2023

il Re


Ottimamente e liberamente, tratto dagli scritti di Shakespeare, questo Enrico V particolarmente crudele, vede una metamorfosi da giullare e idealista a feroce e realista sovrano, obbligato a rispondere ai colpi avversi, sia interni che esterni al suo regno.
Affronta la guerra di Francia, elimina traditori interni, divide ed impera... sino alla vittoria finale... una lotta per il potere, senza tempo.
Il film è davvero ben fatto, la trama regge e gli attori sono davvero bravi.
Non passa inosservato Robert Pattison che con finto accento francese e modi da folle, interpreta il Delfino di Francia, nemico giurato di Enrico. Assolutamente da non perdere.

venerdì 13 maggio 2022

Due agenti molto speciali 2


Visto in francese per rispolverare lo slang oramai arrugginito, decisamente divertente. 
Forti, sempre, i modi di dire che i francesi si inventano per trasformare ogni evento, finanche il più drammatico in una "blag"... un divertimento, una battuta... perché va detto una volta per tutte, con una lingua così non puoi parlare di cose tristi.. puoi solo far ridere. 
Ottima infine l'accoppiata bianco - nero, ricco e povero, acculturato e popolare... si mescolano bene e fanno divertire... storia che perde pezzi, ma non è certamente un thriller. 

 

venerdì 7 maggio 2021

La settimana bianca


"Ero solo in una casetta in Bretagna davanti al computer" ha raccontato una volta Emmanuel Carrère e "a mano a mano che procedevo nella storia ero sempre più terrorizzato".
All'inizio, infatti, il piccolo Nicolas ha tutta l'aria di un bambino normale.
Anche se allo chalet in cui trascorrerà la settimana bianca ci arriverà in macchina, portato dal padre, e non in pullman come i compagni.
E anche se, rispetto a loro, appare più chiuso, più fragile, più bisognoso di protezione.
Ben presto poi scopriamo che le sue notti sono abitate da incubi, che di nascosto dai genitori legge un libro, dal quale è morbosamente attratto, intitolato "Storie spaventose", e che, co una sorta di torbido compiacimento, insegue altre storie, partorite dalla sua fosca immaginazione, storie di assassini, di rapimenti, di orfanità.
E sentiamo, con vaga ma crescente angoscia, che su di lui incombe un'oscura minaccia - quella che i suoi incubi possano, da un momento all'altro, assumere una forma reale, travolgendo ogni possibile difesa, condannandolo a vivere per sempre nell'inferno di quei mostri infantili.
Questo perturbante, stringatissimo noir è da molti considerato il romanzo più perfetto di Emmanuel Carrère - l'ultimo da lui scritto prima di scegliere una strada diversa dalla narrativa di invenzione.

Come sempre, quando si tratta di Carrère, mi sono approcciato con interesse, forte di suoi ben maggiori scritti... deluso? Peggio. Mortificato da questa lagna indescrivibile... né carne né pesce... ma l'ha scritta lui o era sbronzo? Apposta per lui ho creato l'etichetta "Spreco di tempo"...

martedì 2 febbraio 2021

Uomini senza legge

C'è molto Al Capone in questa ricostruzione storica delle lotte del popolo algerino per liberarsi del colonialismo francese. Ci sono forti richiami ad una dinamica che vede le contrapposizione terrorista (buono, ma non sempre) a poliziotto (cattivo e corrotto) che lo insegue, lo placca, cerca in alcuni casi di portarlo alla ragione, in altre lo uccide... una lotta senza quartiere in cui, uomini terribilmente coraggiosi si fronteggiano, riconoscendo similitudine ma lontananza di intenti.
Dal riconoscimento (per strade diverse, la galera, la guerra, il ghetto) della diversità e della necessità della lotta, alla sua interpretazione... ma lottare per qualcosa vuol dire rinunciare al resto... e tutto ha un costo.
Così, quando i tre fratelli arrivano di fronte al baratro, ognuno dovrà guardarsi dentro e fare delle scelte... ci sarà chi saprà sacrificare la propria vita, chi il proprio futuro economico, chi la propria idea... un bel racconto. Duro, crudele ma necessario a capire sino in fondo cosa muove la disperazione e la speranza in un mondo migliore. 
 

lunedì 11 maggio 2020

Cold Blood - Senza pace

Ne abbiamo visti di killer. Gentaccia che, fatto il loro mestiere, si nasconde nella classica casetta in mezzo ai boschi del Canada… di solito si dedica al taglio dei tronchi, alla pesca, alla lettura (di solito Sun Tzu), ai solitari a carte, a pulire le armi, a parlare con il cane, a caccia, a piazzare trappole contro umani ed animali, a tramare altre azioni, a caccia, a pesca, a carte da soli, a carte con il cane, a piazzare trappole contro il cane, alla lettura al cane, al taglio di tronchi con il cane, a far pulire le armi al cane… Poi di solito, o impazziscono, o fanno un'altra missione, o muoiono…
Nel caso specifico Jean Reno, con il suo viso da cucciolone bagnato… alla splendida età di 71 anni... (e lo si vede) lì dove cerca di piroettare a destra e manca, per smarcarsi dalla poco simpatica ragazza mandata a stanarlo dalla clausura per ucciderlo.
La trama? Boh... l'azione? Mah... l'idea? Seeee.... Effetti speciali.... ciupa!
Quindi? Che caspita lo avete fatto a fare sto film?
E che dire poi della spalla? L'agente di polizia che capisce tutto (tardi) e si lancia sulle tracce di non si sa bene chi... non ci fosse stato, l'avesse fatto un elfo, sarebbe stato uguale... forse meglio.
Perché l'ho guardato? Forse per rispetto per il buon Jean Reno...
Infine: ci ho messo un poco a capire perché da noi la traduzione fosse "Senza pace"... ma ragiona che ti ragiona ci sono arrivato… Senza pace è il killer… chiuso in casa  a rompersi i maroni.

sabato 29 febbraio 2020

Nelle tempeste d'acciaio

Ernst Junger partecipò alla Prima Guerra Mondiale con i gradi di sottotenente della Wermacht.
Il suo comportamento in prima linea lo rese leggendario: ferito quattordici volte, ricevette numerosi riconoscimenti al valore, compreso il più alto, L'Ordre Pour Le Mérite.
Portava sempre in tasca un taccuino su cui fissava con precisione gli avvenimenti. Da quelle note, in seguito all'insistenza del padre, si persuase a trarre un libro che avrebbe dovuto intitolarsi "il rosso e il grigio", in omaggio all'amato Stendhal e ai colori mesti e uggiosi della guerra in trincea: Junger preferì alla fine l'immagine tratta da un poema medioevale islandese.
Oggetto di ambigui entusiasmi negli anni Venti e Trenta, "Le Tempeste" ci appaiono oggi la più agghiacciante testimonianza sulla Grande Guerra e l'espressione già perfetta della sovrumana capacità di osservazione di Junger e della prosa fredda e cristallina che egli ha forgiato.
Come scrive Giorgio Zampa nell'introduzione, "l'opera è omogenea: la sua cifra stilistica é unica, la sua coesione non viene mai meno… la tensione che traversa resoconti e cronache è costante, grazie a uno stile di tale perfezione che annulla sé stesso…"
"Le Tempeste" appartengono al genere epico per disposizione naturale: l'autore si pone di fronte alla realtà e la restituisce, conferendole un'autonomia di cui solo l'epico è capace.
"In Stahlgewittern" va veduto come un unicum nella letteratura del secolo: per essere senza antecedenti né seguito chiede di essere considerato al di fuori degli schemi della letteratura di guerra, di riferimenti solo ideologici e politici.
Dare un giudizio su questo libro, che Junger chiama il primo del suo Vecchio Testamento (occhio per occhio, dente per dente) dopo aver letto (o non letto) i diari dell'ufficiale che compì il 6 agosto 1945 la sua missione su Hiroshima, non è agevole.
Le Tempeste figurano come un masso erratico nella discesa sterminata della letteratura europea. (tratto da libro).

 

Solo un acuto osservatore della natura (Junger era tra l'altro entomologo) poteva usare un tono così distaccato per descrivere in modo vivido azioni brutali, morte e distruzione, disperazione, senza lasciarsi andare a romanzare il tutto, senza cedere il passo al romanticismo, ma riuscendo, salvo rari casi a descrivere ogni momento come se fosse stato altrove… e nel farlo a farci intendere cosa significhi realmente una guerra di quelle proporzioni… il distacco totale tra pensiero, idea, volontà di azione e totale impotenza di fronte al massiccio uso di artiglierie e gas, macchine in grado di annientare interi eserciti di esseri umani senza che si materializzi il nemico.
Eppure, riesce Junger, a proposito di un ambiente fiorito e malinconico… "E' più facile battersi in un ambiente simile anziché in un ambiente invernale, freddo e desolato. Qui anche un'anima semplice sente che la sua vita assume una profonda sicurezza e che la sua morte non è una fine".
Oppure, dopo un'azione di guerra, catturati dei prigionieri, mentre li trascinavano verso le proprie linee riuscire a restituire la primitiva idea di guerra "La processione, dalla quale si levavano coi lamenti dei feriti, le nostre voci gioiose, aveva un che di arcaico. Non era più la guerra, era uno spettacolo da preistoria".
Ed infine riuscire poi a farci provare una delle tante note umoristiche… "Ci sparpagliammo in un attimo riparando sul fondo dei crateri. Disgraziatamente caddi col ginocchio nel prodotto della paura di qualcuno che mi aveva preceduto in quel punto e alla meglio mi feci ripulire con un coltello dall'attendente"...
Insomma, un libro speciale, particolare… che ci fa ricordare (con i dovuti distinguo) un certo Primo Levi… potente e disperato.


 

sabato 11 gennaio 2020

War of the worlds

E allora mettiamola così: ad ognuno il suo mestiere. La fantascienza lasciamola fare agli americani, che non la fanno benissimo ma spendono un sacco di soldi per gli effetti speciali. Se la fanno gli europei (leggi francesi) il risultato è questa cosa qua.
Un lungo, lento, noiosissimo polpettone moraleggiante, ove il familismo, il mammismo, il "voglio tornare a casa dalla mia famiglia/marito/moglie/figli/papà/mamma/sorelle e fratelli" prende il sopravvento su tutto e l'invasione, i cattivissimi extraterrestri, i morti, la fine del mondo per come lo conosciamo, diventa una comoda scusa per ricusare il passato e ridefinire legami mai chiariti.
Qualche sprazzo di lucidità qua e là poco cambiano la tenuta della serie. Si parla già di una seconda stagione, spero sia fumo negli occhi.

martedì 30 luglio 2019

Abbandonarsi a vivere

Davanti alle sorprese del destino e agli scherzi della fortuna si può reagire e combattere, sentendosi ebbri e frastornati come una vespa in un bicchiere di vino.
Oppure ci si può arrendere, lasciando che la vita faccia il suo corso, scegliendo, magari in modo avventato, di essere pronti a tutto.
C'é un termine russo che descrive questo abbandono, "pofigismo": esprime una rassegnazione disperata ma assieme gioiosa di fronte agli avvenimenti imprevedibili che scaturiscono dalla assurdità del mondo.
E' con questo sentimento che i protagonisti dei racconti di Sylvain Tesson si mettono in cammino.
Sono marinai, amanti, guerrieri, artisti, viaggiatori, borghesi… vivono a Parigi, Zermatt o Riga, in Afghanistan, nella Jacuzia, nel Sahara.
E in uno di questi giorni in cui tutto cambia, quando la vita decide di fare di testa propria, hanno scelto di accogliere e sfidare il fato.
Ma forse avrebbero fatto meglio a guardare da un'altra parte.
In l'Eremita" un ingegnere francese su una piattaforma petrolifera si appassiona alla storia del Beato Costantino, che seguendo l'esempio di un famoso eremita aveva vissuto in solitudine e nella fede.
"L'esilio" racconta l'emigrazione di Idriss, un giovane nigeriano che cerca di raggiungere l'Europa.
Assieme alla famiglia ha messo da parte 5.000 dollari per pagare Yussef, che gli ha promesso di portarlo in Francia, il paese della felicità, o forse del rimpianto del passato.
In "la noia" conosciamo Tatiana, che vive con la madre in una città ai confini della Siberia, dove la temperatura scende a meno quaranta.
 
 

Un libro di racconti. Per lo più ambientati tra Francia e Russia. Sconfinando ovviamente in Africa, Zermatt ed Afghanistan… tra una vicenda e l'altra, ci godiamo piccole perle del pensiero di Sylvain.
Un libro che parla di viaggi, persone e luoghi. E del viaggiare fa il filo rosso che lega i singoli racconti, con una raccomandazione: "E' raro che in un viaggio si vivano dei giorni conformi all'idea che ci si faceva prima di partire. Di solito viaggiare significa portare in giro la propria delusione" e d'altro canto, nemmeno la felicità ci viene in soccorso "i momenti belli sono come l'energia: non possono essere immagazzinati. Il tempo felice non è un viatico per l'avvenire". E allora eccoli, i nostri personaggi, presi in mille cose, o in mille avvenimenti che li superano, sommergono come un'onda.. dalla passione per la montagna e la scalata… "l'alpinismo è appunto questo: una partita che si gioca tra il caso, la paura e la forza" anche perché é Nietzsche a ricordarcelo… a pagina 105 che "non c'é un errore più pericoloso che quello di confondere la causa con la conseguenza"...
I racconti si susseguono, ci parlano di gente che ha fatto scelte radicali, oppure ha semplicemente deciso di applicare il metodo detto "Pofigismo"... "Tutto quello che vi cambia la vita succede per caso. Il destino è come un secchio d'acqua messo in bilico sul lato alto di una porta: entrate nella stanza e vi ritrovate bagnato da capo a piedi… occorre quindi opporre una rassegnazione gioiosa e disperata. Quelli che la praticano, sopraffatti dall'ineluttabilità delle cose, non capiscono perché nella vita ci si debba agitare tanto, lottare come un moscerino impigliato nella tela di un'argiope, è uno sbaglio, anzi è qualcosa di peggio: un segno di volgarità. I pofigisti accettano le oscillazioni del destino senza tentare di frenarne lo slancio. Si abbandonano alla vita".
  
 


sabato 20 luglio 2019

Sentieri Neri

"Se me la cavo, traverso la Francia a piedi". Tesson è ricoverato in un letto d'ospedale, il corpo in frantumi a causa di una caduta di otto metri che poteva costargli la vita
In quel letto rimarrà per mesi, ed é lì che è nata la promessa da cui è scaturito questo libro.
Un anno dopo, al posto di una canonica riabilitazione in un centro specializzato, Tesson si mette in movimento nonostante i chiodi nella schiena e una paralisi facciale non ancora recuperata.
La bocca gli pende da un lato e un occhio gli sporge dall'orbita, i ragazzini lo guardano con stupore mentre affronta il cammino.
Si è messo in testa di seguire un precetto di Pessoa; "Della pianta dico è una pianta Di me stesso dico sono io. E non dico altro. Che altro c'é da dire?".
Nel corso di questo viaggio solitario e sorprendente compiuto tra l'agosto e il novembre del 2015 partendo dalla Provenza per arrivare in Normandia, Tesson racconta un paesaggio impervio e sconosciuto che si rivela percorrendo vie secondarie ignote ai più, sentieri neri che sembrano ingressi nascosti e segreti a un altro mondo, dove dileguarsi e scomparire.
Camminando Tesson osserva la natura sottratta all'invadenza dell'urbanizzazione e all'arrivo della tecnologia, scopre il silenzio degli insetti lì dove l'agricoltura intensiva ha ridisegnato il paesaggio, ascolta gli animali nella notte e in fondo rifugge gli uomini.
Dalle sue pagine e dalla sua ispirazione la Francia di campagna, la Francia profonda emerge come un luogo carico di vitalità, persino tumultuoso. (tratto da libro).
 
 

E' più forte di me: adoro la narrativa di viaggio. Quella narrazione delle cose, fatta camminando, pedalando, muovendosi lentamente e narrando il vissuto. Se poi a farlo sono persone come Sylvaine Tesson, piuttosto che Paolo Rumiz, allora si finisce per mescolare (con immenso piacere) storia, geografia, religione, persone, cultura e civiltà.. ad un punto tale da farne un immenso ed incredibile diario di viaggio, con un viaggio però, capace di portarci nello spazio e nel tempo.
Questo libro ha finito per appassionarmi, facendomi scoprire una Francia ignota, volutamente cercata, per lasciar fuori modernità, progresso, futuro costruito a tavolino… ciò che la nostra società, per un certo periodo ha tentato di costruire e che ora non cerca nemmeno più…
Luoghi ai margini, luoghi che conservano l'identità agricola, silvana, antica…
L'avventura di Tesson ha inizio all'ospedale… caduto da un tetto, ubriaco per sua stessa ammissione, rischia la vita… "all'ospedale tutti mi avevano accolto bene. il sistema sanitario francese ha questo di buono; non mette mai nessuno di fronte alle sue responsabilità. In una società antica, governata da un principio etico, un ubriaco non dovrebbe essere curato con la stessa attenzione che si dedica a chi ne ha veramente bisogno"... ma evidentemente, questa società etica non esiste e Tesson, una volta dimesso è libero di mettere in pratica i suoi propositi… attraversare la Francia sconosciuta, quella non toccata dalla modernità… quella di cui "eravamo studi delle parole d'ordine del nostro tempo: enjoy!, take care!, be safe!, be connected! mi sembrava che vivere fosse sinonimo di fuggire".
Una società capace di fagocitarci e renderci schiavi senza alcuna forzatura, anzi una schiavitù voluta: "stavamo diventando il corpo sociale più docile e imbelle della storia dell'umanità. La vita era migliore da quando aveva preso a passare attraverso gli schermi? Non ne ero sicuro".
Poi il racconto vira, si fa storia, il richiamo ad un lontano passato… (che mi ha dato spunto per una successiva lettura) "il Rodano, alimentato dai recenti temporali, era in piena. Passi il fiume a Point-Saint- Esprit e detti un'occhiata alle rapide a valle. Come avevano fatto gli elefanti ad attraversare una corrente simile".
Tesson scopre che, il suo camminare, nello spazio e nel tempo, era diventato una medicina: "Per il momento la guarigione mi procurava una sensazione innaturale: quella di una riconquista quotidiana. Era come se il processo di demolizione biologica della vita si fosse invertito ed io avessi cominciato a ringiovanire. Un giorno, giunta la completa guarigione, tutto si sarebbe rovesciato di nuovo ed io avrei ricominciato ad invecchiare".
E poi ancora un richiamo alle follie della modernità e della tecnologia… contro il cellulare.. di cui Tesson decide, per questo viaggio di fare a meno.
"Il dispositivo era la somma delle eredità comportamentali delle sollecitazioni sociali, delle influenze politiche e delle difficoltà economiche che determinavano i nostri destini pur restando invertite.
Il dispositivo disponeva di noi. C'é un piccolo verme, il Dicrocoelium Dendriticum che infesta le formiche e ne controlla i movimenti costringendole a rimanere immobili su un filo d'erba, qui sono mangiate dagli erbivori che diventano i nuovi ospiti del parassita.
Il Dricocoelium é il dispositivo della formica. I microchip al silicio sono i nostri Dricocoelium. Ognuno di noi, pienamente consenziente, porta con sé il suo parassita sotto la forma di uno di quei processori tecnologici che regolano le nostre vite".
Per poi finire con l'analisi dello stato dell'agricoltura (francese, ma occidentale in generale)… "il triplice dispositivo dell'economia gloriosa, dell'agricoltura industriale e dell'urbanesimo trionfante erano il parassita delle campagne"... a cercare di dare un nome ed un volto al degrado ed alla fine del mondo antico.
 

giovedì 4 luglio 2019

Beresina

Sylvain Tesson, instancabile viaggiatore capace di gesta estreme - dal giro del mondo in bicicletta all'attraversamento dell'Asia a cavallo e della catena Himalayana a piedi - ha deciso di provare a vivere l'esperienza di Napoleone e della sua armata seguendo il cammino della ritirata di Russia a bordo di un sidecar di fabbricazione sovietica.
Per Tesson il fine non é solo quello della sfida e dell'impresa fisica: immergersi nel passato, nella tragedia di un esercito vinto, così come isolarsi nella solitudine di una capanna assediata dal gelo invernale, l'esperienza raccontata in "Nelle foreste siberiane", vuol dire cercare un punto di vista privilegiato per scrutare con occhi nuovi l'anima della nostra epoca.
Da Mosca, il 2 dicembre, assieme a un geografo, un fotografo e due amici russi, ha inizio il lungo itinerario di 4.000 chilometri verso la Beresina, Smolensk, Orsa, Borodino, attraverso le desolate pianure e l'inverno fatale, come i veterani francesi decimati dalle truppe dello zar Alessandro.
Durante il viaggio il gruppo cerca ispirazione nelle memorie del confidente dell'Imperatore francese, il generale Caulaincourt, ed esorcizza con l'aiuto della vodka gli orrori di quella letale agonia.
Ripercorrendo l'itinerario della sconfitta con dei sidecar scassati lo scrittore racconta la tremenda sofferenza dei soldati.
Per fedeltà verso chi li ha preceduti sul tragitto durissimo, i viaggiatori utilizzano solo mappe stradali, nessuna moderna tecnologia, e con una media di 300 km al giorno arriveranno a Parigi il 18 dicembre.
Tesson, come pochi, ha la capacità di fondere la vita con la passione per la letteratura e la storia.
A spingerlo avanti è il sogno, e a tratti l'incubo di una grande avventura.
"Che cosa è un vero viaggio?" si chiede, ed è la domanda centrale di questa narrazione che si espande nel tempo e nello spazio. (tratto dal libro).
 

Sylvain Tesson ha due modalità. Totalmente immobile (lo abbiamo conosciuto in questa veste nel racconto autobiografico "Nelle foreste siberiane") o assolutamente imprendibile ed in perenne movimento (eccolo infatti qui, in questo racconto).
In entrambi i casi, si dimostra il grande narratore di persone più che di luoghi, di sensazioni più che di certezze.
Sylvain sa far emergere il non detto. E lo fa così bene che non possiamo fare a meno di pendere dalle sue labbra (immaginarie nel testo) e nei suoi ragionamenti, quando vuole descriverci un episodio, una persona, un pensiero… senza nulla togliere alla descrizione dei paesaggi che, certo, gli riesce altrettanto bene… ma non con tale maestria.
E' il caso di questo "Beresina. In sidecar con Napoleone" ove, il motivo del viaggio (come se a volte fosse davvero necessario avere un motivo) è rifare il percorso di ritirata dell'Armata di Napoleone dalla Russia…
Una sorte di anabasi dell'anabasi… ove le letture della terribile avventura napoleonica, si accompagna all'alcolica e folle avventura di Tesson e compagni a bordo di tre sidecar Ural, di fabbricazione sovietica… il massimo della semplicità ed al tempo stesso della spartana certezza di poter arrivare ovunque purché armati di santa pazienza e di una brugola della misura adeguata.
Ma viaggiare si, per vedere cosa, a distanza di duecento anni? Ma di un luogo sacro, è ovvio! Il problema però, è capire che cosa si intenda per "luogo sacro"! Ed in soccorso, a pagina 114, ci viene Gras, l'amico di Sylvain…
"Un luogo sacro è un luogo geografico fecondato dalle lacrime della Storia, un pezzo di territorio sacralizzato da un gesto, maledetto da una tragedia, un terreno che, al di là dei secoli, continua a irradiare l'eco delle sofferenze patite in silenzio o delle glorie passate. E' un paesaggio benedetto dalle lacrime e dal sangue. Tu sei là davanti e all'improvviso percepisci una presenza, un'epifania: si manifesta qualcosa di ignoto. E' l'eco della Storia, l'irradiamento fossile di un evento che sale dalla terra come un'onda. Qui si è avuta una tragicità così intensa in un lasso di tempo così breve che la geografia non sarà mai più quella di prima. Gli alberi sono ricresciuti ma la Terra ha continuato a soffrire. Quando beve troppo sangue diventa un luogo sacro; allora bisogna guardarla in silenzio perché è popolata di fantasmi".
 
E quindi eccolo il motivo del viaggio… anche perché poi, il viaggio stesso ha una sua peculiarità… come dice Tesson a pagina 169 "Credo che il movimento favorisca la meditazione: lo dimostra il fatto che i viaggiatori al ritorno hanno più idee di quante non ne avessero alla partenza: le hanno concepite strada facendo. Ne fanno le spese gli amici: sono i famosi racconti di viaggio. Dunque la legge della termodinamica potrebbe essere applicata agli spostamenti. Quando ci si mette in movimento, il riscaldamento del corpo produce un'energia spirituale e contribuisce alla nascita delle idee".
Insomma, un bellissimo testo, di Storia, di riflessioni, di viaggio, di amicizia. Scritto divinamente.
 

martedì 12 marzo 2019

Malavita Cose Nostre

Una famiglia di mafiosi, seppure pentiti, non dovrebbe trovare posto nella cinematografia. E nemmeno la violenza che ruota intorno a loro, ai pentiti, ai loro inseguitori ed ai poliziotti che stanno in mezzo.
Detto questo, accettiamo e prendiamo per buono questo film, certamente comico, in molte sue parti, a tratti triste (ma ci vuole) certo capace di farci riflettere sul ruolo del cattivo che, divenuto buono, scopre cosa vuol dire avere paura, avere rimorsi e rendersi conto che la vecchiaia è una brutta bestia.
Diretto da Luc Besson, ambientato in una Francia rurale, ove i residenti fanno la figura dei minchioni... un poco come quando i film sono ambientati in Italia e tutti (ma tutti) gli oriundi, girano con coppola e lupara, con nomi improbabili.
Robert De Niro, Michelle Pfeiffer e Tommy Lee Jones, ce la mettono davvero tutta per farci ridere ed interessare alla trama e, va detto, spesso ci riescono.
Poche storie, la classe (degli attori) non è acqua… e così, senza troppo clamore e passando da una risata ad un poco di apprensione ci godiamo la nostra ora e mezza di sano divertimento… (sano… insomma).
                                                            
 

martedì 16 gennaio 2018

Viaggio al termine della notte

Senza un attimo di respiro: Scrittore maledetto, se te ne freghi, ti trovi di fronte un libro incredibile. Così scrivevo tanti anni or sono su Anobii, un piccolo, breve commento, per celebrare questa lettura.
Oggi, a distanza di tempo, ritorno sul testo e riprendo un dialogo interrotto, riallaccio vecchi spunti e passaggi memorabili.
Chi pensasse che Louis Destouches in arte Céline, scriva alla Gadda, alla Pasolini, in modo naturale, si sbaglierebbe di grosso... è un linguaggio ricercato, pensato, studiato, osservato a lungo e ruminato assai... prima di essere riproposto su carta, è stato oggetto di lunga gestazione.
Prova ne è il suo esempio, oramai memorabile, del bastone immerso in acqua. "Un bastone dritto, immerso in acqua, apparirebbe storto... cosa diversa un bastone, già precedentemente ritorto artificialmente e poi immerso... ad ottenere una distorsione voluta, guidata... questo è il linguaggio dei miei personaggi..." Insomma, siamo di fronte ad un genio... ad un uomo che, divenuto un paria, a causa delle sue scritture antisemite, resta un grande, uno scrittore al pari di Hemingway, irraggiungibile letteratura. Da leggere e rileggere... magari anche in francese.

 "Nell'aprile 1932 il giovane editore parigino Robert Denoel si ritrovò sul tavolo un grosso dattiloscritto di novecento pagine a spazio due, che non portava nemmeno l'indicazione dell'autore.
Cominciò a leggerlo con uno sbalordimento che sconfinava nell'esaltazione.
Telefonò nottetempo al suo segretario, ingiungendogli di trovarsi presto in ufficio l'indomani perché bisognava arrivare ad una decisione rapida.
Si trattò di risalire, con qualche fatica, all'autore.
Era un medico trentacinquenne che abitava dalle parti di Montmartre, in Rue Lepic, e lavorava al dispensario di Clichy, un certo Louis Destouches.
Più tardi, Denoel descrisse quell'incontro: "Mi trovai davanti un uomo straordinario come il suo libro. Parlò per due ore da medico che sapeva tutto della vita, da uomo di estrema lucidità, disperato e freddo, e tuttavia passionale, cinico ma pietoso.
Lo rivedo ancora, nervoso, agitato, occhi azzurri, uno sguardo duro, penetrante, l'aria un po' stralunata.
Aveva soprattutto un gesto che mi colpiva.
La mano destra andava e veniva come per fare piazza pulita, e ad ogni istante disegnava le cose con l'indice....
Il suo modo di esprimersi era sempre forte, immaginoso, allucinato.
L'idea della morte, la propria e quella del mondo, tornava nel suo discorso come un motivo conduttore.
Mi descrisse un umanità affamata di catastrofi, innamorata di massacri.
Il dottor Destouches s'era scelto uno pseudonimo: avrebbe firmato Louis-Ferdinand Céline. Un nome femminile".
Nasceva così Voyage au bout de la nuit, e oggi che il secolo sta finendo tra tragedie e farse d'ogni genere, ci appare sempre più chiaro che questo è il romanzo che l'ha meglio capito e rappresentato che il consapevole delirio Céliniano ne ha saputo cogliere come nessun altro gli aspetti fondamentali: gli orrori della guerra e della retorica patriottarda di quelli che stavano a dirigere il macello nelle retrovie; la ferocia dello sfruttamento coloniale, la solitudine delle metropoli (New York) e gli incubi tayloristici della catena di montaggio (la Ford a Detroit), il degrado urbano e l'abbruttimento operaio nella Parigi delle borgate, l'avvento di una piccola borghesia cinica e faccendiera, quella stessa di cui oggi contempliamo i guasti forse irreversibili nelle imprese di figli e nipoti, al di qua e al di là delle Alpi".

sabato 2 dicembre 2017

Overlord

Non è un caso che quasi tutti i film di guerra relativi alla seconda guerra mondiale passino da questo momento storico. La più grande operazione anfibia di tutti i tempi. Anche se la Germania Nazista cominciava a perdere colpi, il D-Day distrusse ogni speranza tedesca di vincere la guerra. Ben descritta l'intera operazione militare e imparziale nella descrizione dei retroscena e delle non sempre trionfali truppe anglo-americane.

"Il leggendario sbarco in Normandia, quel 6 giugno 1944 che nell'immaginario collettivo è rimasto come il D-Day, aveva nome in codice "Overlord".
Lacerando il sipario della retorica e degli interessi di parte, Hastings ne ricostruisce la storia completa, dai preparativi alla faticosa battaglia, incerta fino all'ultimo, per la conquista dell'entroterra, rendendo giustizia all'esercito tedesco, schiacciato tra i contrordini di Hitler e la superiorità numerica degli alleati, ma ancora determinato a combattere per contendere ogni centimetro all'avanzata alleata.
E rendendo inoltre giustizia ai reparti inglesi e americani, che emergono come i veri vincitori dell'operazione Overlord, e cioè come coloro che seppero spesso rimediare col proprio spirito di iniziativa ai risvolti non sempre edificanti delle decisioni degli Stati Maggiori.
In quest'opera, una sapiente miscela di appassionato interesse e lucida obiettività. l'esperto di storia militare troverà una documentazione ineccepibile e il grande pubblico rivivrà quei giorni come in un romanzo, dove gli eventi che decisero le sorti del Mondo si intrecciano ai piccoli episodi che ne compongono il mosaico".

venerdì 22 settembre 2017

Le grandi battaglie di Napoleone

Dalla seconda di copertina: "Se la guerra è un'arte, Napoleone è stato uno dei massimi artisti della storia dell'umanità. La sua mente geniale ha prodotto piani strategici e tattici di livello ineguagliabile, sia nella fase di ascesa, quando la sua esperienza era ancora acerba, sia in quella del declino, nonostante la consunzione di una vita incredibilmente intensa.
Questo libro racconta la straordinaria parabola di un piccolo ufficiale di artiglieria che divenne imperatore e dominatore d'Europa, attraverso le sue più stupefacenti gesta: dalle sconfitte inflitte all'esercito austriaco con un modesto e improvvisato esercito durante la prima campagna d'Italia, alle grandi imprese di Marengo, Austerlitz, Jena, Friedland e Wagram, fino alle drammatiche disfatte in Russia, a Lipsia e a Waterloo. Ma narra anche gli eventi minori e meno conosciuti, nei quali il suo talento militare ebbe ugualmente modo di mettersi in mostra, come le battaglie della guerra di Spagna e quelle per la difesa della Francia che precedettero l'abdicazione".
Bellissimo testo, che in chiave cronologica, ripercorre l'ascesa, il regno e la rovinosa caduta di un grande statista, condottiero, politico, uomo: Napoleone.
Un genio militare, un uomo capace di vendere la sua immagine e di far credere in un nuovo Rinascimento, forse (anzi molto probabilmente) un despota che seppe costruire un'idea di regno e di libertà nuovi rispetto al vecchio dell'Ancien Regime.
Frediani non si limita a guerre e battaglie e questo gli rende onore, riuscendo ad interpretare in modo chiaro lo spirito dei tempi, gli errori politici e quelli sul campo di battaglia... errori che non tolgono nulla alla figura immensa del grande uomo e condottiero che è stato Napoleone.

giovedì 14 settembre 2017

La prima sorsata di birra...

Altra recensione di un testo letto tempo fa e ripreso in mano di recente... "Il piacere della prima sorsata di birra, cercare more nei boschi alla fine dell'estate, conversare attorno ad un tavolo di cucina sgranando piselli, il profumo delle mele in cantina, la voce di chi si ama al telefono che dice di più di quanto dicono le parole, il rosso cupo di un bicchiere di Porto da centellinare, il lieve fruscio della dinamo contro la ruota durante una pedalata notturna...
Questi e altri istanti preziosi, colti nella loro immediatezza e assaporati in tranquillità, vanno a comporre l'incantevole volume di Philippe Delerm, una raccolta di brevi esti che afferrano al volo sensazioni squisite e fuggevoli.
Una prosa precisa e minuziosa, piccoli tocchi impressionistici, fresche pennellate di colore che ci tuffano in un mondo rurale, riportandoci a ritmi pacati e a ritualità del quotidiano ormai dimenticate.
Con atteggiamento contemplativo e un pizzico di nostalgia, l'autore si compiace nel fare silenzio attorno e dentro di sé per ascoltare gli echi che i piccoli piaceri della vita risvegliano nel suo animo.
E in tutte queste istantanee si cela l'illusione, momentanea, di poter fermare il tempo o, forse, deviarne il corso.
Difficile non ritrovarsi in queste emozioni superbamente evocate, minuscole gocce di felicità che tutti noi abbiamo gustato e che anche soltanto attraverso le pagine ci sommergono con il loro incanto".
 
Mentre alcune immagini descritte, sono tipiche dell'ambiente transalpino e francese (ma di per sé non è un male, imparando così usi e consuetudini a noi poco note), molte delle altre, rammentano piaceri semplici, provati almeno una volta nella vita, a cui abbiamo prima dato "un morso", assaporandole, riprendendole poi, come piaceri goduti e che ci ricordano bei momenti... perché infatti non aggiungere il primo bacio, la prima lettera d'amore, la prima gita in macchina con gli amici, la prima vacanza al mare, la prima sbronza, il primo ballo lento, il primo porcino raccolto nel bosco, la prima motocicletta.. la prima uscita notturna... e tante ce ne sarebbero... la verità, come ben descrive Delerm, sta nel saper gustare il momento e renderlo eterno, associandolo a sensazioni di piacere... perché la vita è questo... intensa soddisfazione concentrata in tanto tempo senza significato... eternità centellinate... e la capacità più grande sta nel crearsene di continuo, per riempire la nostra esistenza.

martedì 5 settembre 2017

Verso un'architettura

 
"Con questo libro Le Corbusier ha iniziato negli anni '20 il suo irriverente dialogo col pubblico e con gli architetti destinato a svilupparsi in quarant'anni di innumerevoli pubblicazioni e in opere costruite e progettate tra le più notevoli dell'architetture moderna. A quest'opera, tradotta in molte lingue, l'Italia giunse in ritardo (fu pubblicata nel 1973 da Longanesi & C.); tuttavia é proprio in Italia che un nuovo interesse critico, e non solo agiografico, nei confronti della figura di Le Corbusier ha preso inizio da alcuni anni.
In questo contesto, Verso un'architettura oltre ad essere uno dei formidabili documenti della cultura parigina ed europea degli anni '20, nella sua giovanile immediatezza consente di scoprire i teoremi base della teoria architettonica del maestro e nello stesso tempo di mettere a nudo la matrice borghese del mito moderno dell'architetto demiurgo".
 
Le Corbusier, Charles - Edouard Jeanneret-Gris, (1887-1965) ha pubblicato questo libro nel 1923 raccogliendo gli articoli più importanti apparsi sulla rivista L'Esprit Nouveau.

Il libro è un trattato-manifesto, percorso continuamente da tracce delle avanguardie d'anteguerra, anche se le intenzioni dell'ESPRIT NOUVEAU sono per il superamento, per il RAPPEL A' L'ORDRE, tanto che la rivista ospita numerosi collaboratori italiani al momento di passaggio al culto degli "ETERNI VALORI, AFORISMI, TONO APODITTICO, COLLAGE, VARIAZIONI TIPOGRAFICHE, compongono per frammenti il trattato.
Non c'é una gerarchica esaltazione dei prodotti moderni, parliamo di esempi della perfezione a partire da uno standard. La contrapposizione turba il lettore.

Per Le Corbusier, né il Partenone, né le auto sono tutta architettura: il desiderio di una cosa che manca sempre... L'oggetto architettonico cerca un raggiungimento che, per definizione, il nuovo procedimento non raggiungerà mai.
LA CASA E' UNA MACCHINA DA ABITARE è il desiderio di conseguire un'efficienza tra scopi e risultati come nel mondo tecnico - scientifico della produzione industriale.

 

VOLUME: Gli occhi sono fatti per vedere le forme della luce. Le forme primarie sono le forme belle perché si leggono chiaramente. Oggi, gli architetti non realizzano più le forme semplici. Operando con il calcolo, gli ingegneri usano forme geometriche, appagano gli occhi con la geometria e lo spirito con la matematica; le loro opere sono sul cammino della grande arte.

SUPERFICIE: Un volume è avvolto in una superficie, superficie che è divisa secondo linee generatrici e direttrici del volume, mettendo in risalto l'individualità di questo volume... sottomessi alle strette leggi di un programma imperativo, gli ingegneri usano forme chiaramente strutturate, creando fatti plastici limpidi e impressionanti.
 
PIANTA: La pianta è la generatrice. Senza pianta c'é disordine, arbitrio. Nella pianta è già compreso il principio della sensazione. I grandi problemi di domani, dettati da necessità collettive, ripropongono il problema del piano. La vita moderna chiede, attende un piano nuovo, per la casa e la città.
 
I TRACCIATI REGOLATORI: La nascita fatale dell'architettura. L'obbligo dell'ordine. Il tracciato regolatore é una garanzia contro l'arbitrio E' la gioia dello spirito. Il tracciato regolatore è un mezzo; non è una ricetta. La scelta e le modalità di espressione del tracciato sono parte integrante della creazione architettonica.
 
E il testo si potrebbe concludere così: "una grande epoca è cominciata. Esiste uno spirito nuovo. Esiste una quantità di opere improntate a uno spirito nuovo; si ritrovano soprattutto nella produzione industriale. L'architettura soffoca nelle abitudini. Gli Stili sono una menzogna. Lo stile é un'unità di principio che anima tutte le opere d un'epoca ed è il risultato di un carattere spirituale. La nostra epoca esprime ogni giorno il suo stile. I nostri occhi, purtroppo, non sanno ancora vederlo".
 
 
 
 
 

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