martedì 30 luglio 2019

Abbandonarsi a vivere

Davanti alle sorprese del destino e agli scherzi della fortuna si può reagire e combattere, sentendosi ebbri e frastornati come una vespa in un bicchiere di vino.
Oppure ci si può arrendere, lasciando che la vita faccia il suo corso, scegliendo, magari in modo avventato, di essere pronti a tutto.
C'é un termine russo che descrive questo abbandono, "pofigismo": esprime una rassegnazione disperata ma assieme gioiosa di fronte agli avvenimenti imprevedibili che scaturiscono dalla assurdità del mondo.
E' con questo sentimento che i protagonisti dei racconti di Sylvain Tesson si mettono in cammino.
Sono marinai, amanti, guerrieri, artisti, viaggiatori, borghesi… vivono a Parigi, Zermatt o Riga, in Afghanistan, nella Jacuzia, nel Sahara.
E in uno di questi giorni in cui tutto cambia, quando la vita decide di fare di testa propria, hanno scelto di accogliere e sfidare il fato.
Ma forse avrebbero fatto meglio a guardare da un'altra parte.
In l'Eremita" un ingegnere francese su una piattaforma petrolifera si appassiona alla storia del Beato Costantino, che seguendo l'esempio di un famoso eremita aveva vissuto in solitudine e nella fede.
"L'esilio" racconta l'emigrazione di Idriss, un giovane nigeriano che cerca di raggiungere l'Europa.
Assieme alla famiglia ha messo da parte 5.000 dollari per pagare Yussef, che gli ha promesso di portarlo in Francia, il paese della felicità, o forse del rimpianto del passato.
In "la noia" conosciamo Tatiana, che vive con la madre in una città ai confini della Siberia, dove la temperatura scende a meno quaranta.
 
 

Un libro di racconti. Per lo più ambientati tra Francia e Russia. Sconfinando ovviamente in Africa, Zermatt ed Afghanistan… tra una vicenda e l'altra, ci godiamo piccole perle del pensiero di Sylvain.
Un libro che parla di viaggi, persone e luoghi. E del viaggiare fa il filo rosso che lega i singoli racconti, con una raccomandazione: "E' raro che in un viaggio si vivano dei giorni conformi all'idea che ci si faceva prima di partire. Di solito viaggiare significa portare in giro la propria delusione" e d'altro canto, nemmeno la felicità ci viene in soccorso "i momenti belli sono come l'energia: non possono essere immagazzinati. Il tempo felice non è un viatico per l'avvenire". E allora eccoli, i nostri personaggi, presi in mille cose, o in mille avvenimenti che li superano, sommergono come un'onda.. dalla passione per la montagna e la scalata… "l'alpinismo è appunto questo: una partita che si gioca tra il caso, la paura e la forza" anche perché é Nietzsche a ricordarcelo… a pagina 105 che "non c'é un errore più pericoloso che quello di confondere la causa con la conseguenza"...
I racconti si susseguono, ci parlano di gente che ha fatto scelte radicali, oppure ha semplicemente deciso di applicare il metodo detto "Pofigismo"... "Tutto quello che vi cambia la vita succede per caso. Il destino è come un secchio d'acqua messo in bilico sul lato alto di una porta: entrate nella stanza e vi ritrovate bagnato da capo a piedi… occorre quindi opporre una rassegnazione gioiosa e disperata. Quelli che la praticano, sopraffatti dall'ineluttabilità delle cose, non capiscono perché nella vita ci si debba agitare tanto, lottare come un moscerino impigliato nella tela di un'argiope, è uno sbaglio, anzi è qualcosa di peggio: un segno di volgarità. I pofigisti accettano le oscillazioni del destino senza tentare di frenarne lo slancio. Si abbandonano alla vita".
  
 


sabato 27 luglio 2019

Un poliziotto da Happy Hour


Brendan Gleeson dimostra ancora una volta, con grande fisicità e senso dello humor tipicamente britannico, la sua capacità di riempire il vuoto cinematografico degli ultimi tempi.
Una storia, in sé già vista e rivista in mille salse, che però qui trova il suo interprete ideale.
Non è il solito bello e dannato. Gerry Boyle di bello non ha molto.
Non è un truce assassino o vendicatore. Si fa volentieri gli affari suoi, pensa alle prostitute, all'alcool, alla droga (moderatamente), ai suoi giri, ma quando una delle sue poche regole viene violata, non ce n'é per nessuno.
A fargli da spalla il nero Wendell Everett, agente dell'FBI in trasferta, persona seria, morigerata, che tenta di applicare un metodo che, in territorio irlandese, non paga per nulla…
Poliziotti corrotti, banditi cattivi, un retroterra parecchio malsano e discutibile.. tutto si metterà di traverso per impedire alla giustizia di fare il suo corso… senza ovviamente riuscirci. Al netto della vicenda un sacco di risate, personaggi bislacchi, eventi folli. Bravo Gleeson a ricavarsi un ruolo misto tra il comico e il western.. dopo alcuni film decisamente più duri.
 
 


First man - Il primo uomo

Lo sbarco sulla Luna visto attraverso la biografia del primo uomo ad averla raggiunta.
Neil Amstrong, persona determinata, ma anche colpita negli affetti e dalla enorme responsabilità.
Abbiamo così, la storia dell'Apollo 11, l'allunaggio, la guerra di nervi con l'Unione Sovietica, per molti versi più avanti nella scoperta dello spazio rispetto agli Yankee.
Il bello di questo film è riuscire a rendere lo stato d'animo del protagonista, quello di un'epoca, quello di una nazione, la sfida tecnologica, il tutto mescolato e arricchito da scene semplici ma al tempo stesso capaci di farci restare a bocca aperta.
Un buon film, senza colpi di scena… sappiamo esattamente dove andrà a parare… ma, per una volta, rispetto a tanta cinematografia, non sappiamo come ci arriverà.
Questa la sua fortuna, la sua forza e fascino: far passare per assolutamente normale una vicenda unica! L'allunaggio, vero e forse unico evento capace di unire l'umanità intera, primo vero evento mediale (cioè trasmesso da un media), colto nel momento della sua realizzazione, e mediato da paure, angosce personali, rivalità, insuccessi, morte e speranze.
Bello, senza alcun dubbio.

The Predator

Quanta putrida acqua è passata sotto i ponti da quel dì? Cioè da quando il primo, bellissimo, incredibile Predator apparve sul grande schermo, ed a fare da degno compare di scorribande, un super muscoloso e ironico Arnold Shwarzenegger… da allora, molte ma molte imitazioni, comprese quelle con quel segaligno di Adrien Brody. Per questo, quando arriva un nuovo episodio del nostro 2° alieno più famoso del cinema (il primo manco a dirlo è Alien), il confronto è d'obbligo e le pernacchie sono pronte, stanno proprio dietro l'angolo, in attesa di essere lanciate, come i raggi laser usati con gran profusione dal mostro. Ma ecco che, dopo questa doverosa introduzione, dobbiamo parlare del film. Cercando così, senza ridere troppo, perché di questo si tratta, di provare a dire e non dire… Insomma: spazio, due astronavi aliene si inseguono, una si lancia dell'iperspazio giungendo sulla Terra. Qui l'alieno prende una gran botta e viene catturato dai terrestri. Solito laboratorio segreto, soliti scienziati, solito militare bello e tenebroso e buono, solito cattivone che vuole l'astronave, l'alieno, i gadget dell'alieno. Ce ne sarebbe a sufficienza per chiudere il cerchio… ma evidentemente tutto ciò ad Hollywood non basta più.
Ed infatti aggiungiamoci una banda di matti ex militari che vengono reclutati dal nostro eroe, una scienziata civile super tosta, il figlio del militare un poco stordito ma capace di capire la tecnologia aliena... Altre cagate non mi vengono in mente, ma credo che possa bastare.
L'alieno fugge, viene inseguito, poi viene ucciso da un altro alieno ancora più cattivo, che si scopre essere lì perché mandato per liberarsi del primo, e allora i nostri devono uccidere anche questo… mica facile! E corri di qui, e volta di là, e vai su e scendi giù… la fisicità della lotta è senza pari, al punto che verso la fine del film i maroni mi si sono gonfiati tanto da sembrare due maritozzi… per fortuna il film finisce (sennò sarebbe una serie televisiva) e con una buona crema lenitiva, posso sventare l'orchite.
 
 

giovedì 25 luglio 2019

Il volo del corvo timido

"Con quest'ultima perla abbiamo chiuso la nostra collana" scrive Nives Meroi tornando a Kathmandu dopo aver completato con l'Annapurna la salita di tutti e quattordici gli ottomila della Terra.
Sempre in cordata con il marito Romano, sempre con uno stile leggero ed essenziale, senza bombole d'ossigeno né climbing sherpa.
Il loro percorso non è stato solo un inno alla bellezza dei paesaggi sconfinati, ma anche un itinerario di crescita e consapevolezza.
Ogni cima ha segnato un passaggio - soprattutto il Kangchendzonga, con la malattia e la guarigione di Romano - e ha portato un insegnamento, come quest'ultimo, l'Annapurna.
Nives e Romano sono partiti senza sapere che avrebbero affrontato un cammino di cambiamento: pensavano di escludere l'elicottero ma ne hanno fatto uso, credevano di salire solo in coppia e l'hanno dovuto aprirsi a una cordata allargata con due cileni e due spagnoli, molto diversi da loro.
Eppure, "proprio lì dove gli opposti si sono incontrati, si è sprigionata l'energia per resistere insieme alle bufere, agli ostacoli, fino a sparigliare le carte di una partita che sembrava persa".
Solo mettendosi ciascuno in gioco con la propria esperienza, e ponendo tutti quanti in dubbio le proprie presunte certezze, hanno potuto compiere un'impresa che altrimenti sarebbe stata impossibile.
Una scalata d'altri tempi, fatta di rispetto per la montagna e fiducia negli altri, a dimostrazione che in natura non esiste forza più formidabile dell'alleanza tra persone della solidarietà e della collaborazione. Un atto di ribellione all'individualismo del nostro tempo cinico. Quasi un'utopia che prende forma (tratto dal libro).


Il libro l'ho avuto - in formato digitale - da Alessio, il mio spacciatore personale.
Una donna che scrive di alpinismo… che strano. Beh credetemi, al pari del bellissimo libro di Nan Sheperd "La montagna vivente" scritto però molto tempo or sono, devo dire che questo testo è godibilissimo e racconta un modo diverso di salire sulle più alte cime del pianeta. Un modo romantico, lieve, che mette da parte pericolo e gloria per rendere palpabili le umane, umanissime sensazioni provate, prima durante e dopo la salita.
Così quando descrive i suoi compagni di viaggio (e anche sé stessa): "Gli alpinisti sono gente strana, spesso lupi solitari che si guardano con sospetto. Perché concentrati sui propri obiettivi cercano l'affermazione indipendentemente dagli altri. Tanto più nell'alpinismo sportivo della nuova era, dove l'elemento fondamentale è il singolo; la cordata, quando c'é, é una squadra sportiva".

O quando, durante la salita, si trova circondata dal nulla della nebbia: "E' strana la nebbia: ti fa barcollare come un ubriaco in una notte senza stelle, mentre in realtà é un'esplosione di luce che annulla le ombre e fa svanire i contorni. Ma senza ombre che le si oppongono, le si oppongono, nemmeno la luce è visibile, e così, incapaci di percepire le cose nella spazio, sembriamo infettati da un'epidemia di cecità bianca".

E' proprio allora, in mezzo al nulla ed alle prese con pericoli immensi che occorre guardarsi dentro, trovare una diversa unità di misura di sé e delle cose che ci circondano: "Lo confesso: se é l'utilità a dare la misura del necessario, allora questa musica è necessaria.
E allora qual é il punto in cui termina l'utile e comincia l'inutile? E qual é stata l'utilità di ostinarsi in questa splendida, difficile e faticosissima scalata d'altri tempi? E' stato utile o inutile inseguire per più di vent'anni la bellezza del sogno di quattordici ottomila da salire insieme?"

Ma in fondo esiste una formula, quella che permette all'uomo, sin dalle sue origini, di superare ogni avversità: "Ma la fiducia fra le persone é antica quanto il mondo, perché l'alleanza é la formula più forte che esiste in natura. La più fruttuosa".
E' con queste considerazioni che concludiamo il libro.. un libro di viaggio, di avventura, ma certamente, prima di tutto, di introspezione.


lunedì 22 luglio 2019

Annibale

Quanto pesano le ceneri di Annibale? Si chiedevano i Romani al termine della guerra.
Niente, era la risposta.
Eppure lo spauracchio si trasformò in eroe, l'eroe in mito, e il mito in leggenda.
Ed è questa leggenda che invade il Mediterraneo, fino a lambir le porte dell'Asia.
Quella che ci viene incontro è la storia di un uomo, temuto e rispettato, e dei luoghi che lo hanno reso celebre.
Con una scrittura che rende i fatti storici più contemporanei della cronaca.
Paolo Rumiz si imbarca in un viaggio che parte dalla Sardegna - l'isola che profuma di Oriente - passa per il Rodano, la Trebbia, la leggenda delle Alpi e degli elefanti, l'inferno di Canne, e arriva fino in Turchia, sulla tomba del condottiero.
Annibale non è solo un viaggio nella memoria, è anche attualità - le contaminazioni culturali Occidente - Oriente, la scellerata gestione urbanistica nelle grandi città, l'inutilità della guerra, la globalizzazione, Nord Italia e Sud Italia.
Paolo Rumiz illumina il passato attraverso la forza del mito (mito africano, in fondo, e contro-mito per l'imperialismo romano) e proietta nuova luce sui fatti dei nostri tempi. (tratto dal libro).
 

Un'insana passione mi lega al mitico Annibale. Una passione tale per cui, appena posso mettere le mani su un libro che lo riguarda, eccomi!
Come non ricordare con passione Annibale di Gisbert Haefs, la cui lettura mi commosse fino alle lacrime? Ed ora eccomi qui, di fronte a questo racconto, e che racconto. E di fronte ad un narratore, e che narratore!
Insomma, il racconto di viaggio (che io adoro come genere) alla ricerca di un uomo che è diventato mito, non può che essere eccezionale. Mito, storia, fantasia, sviamenti e verità storiche, negazioni (il negazionismo esisteva anche ai tempi della Roma Imperiale) sono gli inciampi che Rumiz incontra sul suo cammino.
Ma, come sa chi cammina, gli indizi arrivano cammin facendo e si fanno trovare se cerchiamo con attenzione... dalla Sardegna, con il ritrovamento della statua di Astarte, la dea fenicia, la grande madre, la Madonna del tempo antico, poi ripresa nella chiesa della Madonna del Sirai.
O alle credenze di Greci e Cartaginesi… che credevano che i defunti avessero due anime: il Nefesh, capace di volare e allontanarsi subito dal corpo per unirsi al Tutto e il Ruakh, restava nella tomba e spaventava i vivi con le sue apparizioni.. da tenere buona con offerte di cibo e bevande.
Armato dei libri di Tito Livio e di Polibio, il nostro insegue le tracce del Mito, spesso andando ad intuito, perché "il libro è come il padre: ti svezza, ti irrobustisce, ti fa crescere dentro la curiosità del mondo, ma é anche una trappola che ti spinge ad accontentarti delle meraviglie che contiene. Per partire devi talvolta rinnegare il padre, perché non puoi affrontare il mondo col suo peso sulle spalle".
Facciamo così la conoscenza con Surus, l'unico elefante indiano tra gli elefanti africani (più piccoli e meno resistenti), l'ultimo a morire. Surus "il Siriaco" che portò in salvo Annibale durante la malattia, presa durante l'attraversamento delle Alpi.
E che dire delle parole incredibilmente poetiche, pronunciate da Maharbal, capo della cavalleria numidica, dopo la vittoriosa battaglia di Canne? Egli così dichiara: "Seguimi, io ti precederò con la cavalleria, perché i Romani sappiano che sei arrivato prima di sapere che stai per arrivare"... ma Annibale rinuncia (e su questa rinuncia ruota tutta la storia di Roma e dell'intero Mediterraneo, come scritto anche da Livio), non si sente in grado (anche per i pochi uomini disponibili) a prendere Roma… preferisce gli attacchi a sorpresa, continuare la guerra di sfiancamento dei romani sul loro suolo.. scoprendo a sue spese che Roma, la Dominante, non si arrenderà mai.
E che dire dell'evento accaduto nel 211 a.C. quando le legioni romane cercano di stanare Annibale dall'Agro Campano? Lui li aggira, li beffeggia, e si getta come una furia su Roma, "Hannibal ante portas!" Pare che Annibale lanci un giavellotto dentro le mura di Roma… li terrorizza, fa bottino fuori le mura e poi si ritira…
Alla fine, tanti tanti anni dopo, Annibale è costretto a togliersi la vita a causa del tradimento di Re Prusia… lui, oramai vecchio ed inoffensivo… lo stesso anno in cui trova la morte, in esilio, l'altro grande ma dimenticato Scipione l'Africano, tradito anch'esso dalla Roma che aveva difeso così bene.





sabato 20 luglio 2019

Sentieri Neri

"Se me la cavo, traverso la Francia a piedi". Tesson è ricoverato in un letto d'ospedale, il corpo in frantumi a causa di una caduta di otto metri che poteva costargli la vita
In quel letto rimarrà per mesi, ed é lì che è nata la promessa da cui è scaturito questo libro.
Un anno dopo, al posto di una canonica riabilitazione in un centro specializzato, Tesson si mette in movimento nonostante i chiodi nella schiena e una paralisi facciale non ancora recuperata.
La bocca gli pende da un lato e un occhio gli sporge dall'orbita, i ragazzini lo guardano con stupore mentre affronta il cammino.
Si è messo in testa di seguire un precetto di Pessoa; "Della pianta dico è una pianta Di me stesso dico sono io. E non dico altro. Che altro c'é da dire?".
Nel corso di questo viaggio solitario e sorprendente compiuto tra l'agosto e il novembre del 2015 partendo dalla Provenza per arrivare in Normandia, Tesson racconta un paesaggio impervio e sconosciuto che si rivela percorrendo vie secondarie ignote ai più, sentieri neri che sembrano ingressi nascosti e segreti a un altro mondo, dove dileguarsi e scomparire.
Camminando Tesson osserva la natura sottratta all'invadenza dell'urbanizzazione e all'arrivo della tecnologia, scopre il silenzio degli insetti lì dove l'agricoltura intensiva ha ridisegnato il paesaggio, ascolta gli animali nella notte e in fondo rifugge gli uomini.
Dalle sue pagine e dalla sua ispirazione la Francia di campagna, la Francia profonda emerge come un luogo carico di vitalità, persino tumultuoso. (tratto da libro).
 
 

E' più forte di me: adoro la narrativa di viaggio. Quella narrazione delle cose, fatta camminando, pedalando, muovendosi lentamente e narrando il vissuto. Se poi a farlo sono persone come Sylvaine Tesson, piuttosto che Paolo Rumiz, allora si finisce per mescolare (con immenso piacere) storia, geografia, religione, persone, cultura e civiltà.. ad un punto tale da farne un immenso ed incredibile diario di viaggio, con un viaggio però, capace di portarci nello spazio e nel tempo.
Questo libro ha finito per appassionarmi, facendomi scoprire una Francia ignota, volutamente cercata, per lasciar fuori modernità, progresso, futuro costruito a tavolino… ciò che la nostra società, per un certo periodo ha tentato di costruire e che ora non cerca nemmeno più…
Luoghi ai margini, luoghi che conservano l'identità agricola, silvana, antica…
L'avventura di Tesson ha inizio all'ospedale… caduto da un tetto, ubriaco per sua stessa ammissione, rischia la vita… "all'ospedale tutti mi avevano accolto bene. il sistema sanitario francese ha questo di buono; non mette mai nessuno di fronte alle sue responsabilità. In una società antica, governata da un principio etico, un ubriaco non dovrebbe essere curato con la stessa attenzione che si dedica a chi ne ha veramente bisogno"... ma evidentemente, questa società etica non esiste e Tesson, una volta dimesso è libero di mettere in pratica i suoi propositi… attraversare la Francia sconosciuta, quella non toccata dalla modernità… quella di cui "eravamo studi delle parole d'ordine del nostro tempo: enjoy!, take care!, be safe!, be connected! mi sembrava che vivere fosse sinonimo di fuggire".
Una società capace di fagocitarci e renderci schiavi senza alcuna forzatura, anzi una schiavitù voluta: "stavamo diventando il corpo sociale più docile e imbelle della storia dell'umanità. La vita era migliore da quando aveva preso a passare attraverso gli schermi? Non ne ero sicuro".
Poi il racconto vira, si fa storia, il richiamo ad un lontano passato… (che mi ha dato spunto per una successiva lettura) "il Rodano, alimentato dai recenti temporali, era in piena. Passi il fiume a Point-Saint- Esprit e detti un'occhiata alle rapide a valle. Come avevano fatto gli elefanti ad attraversare una corrente simile".
Tesson scopre che, il suo camminare, nello spazio e nel tempo, era diventato una medicina: "Per il momento la guarigione mi procurava una sensazione innaturale: quella di una riconquista quotidiana. Era come se il processo di demolizione biologica della vita si fosse invertito ed io avessi cominciato a ringiovanire. Un giorno, giunta la completa guarigione, tutto si sarebbe rovesciato di nuovo ed io avrei ricominciato ad invecchiare".
E poi ancora un richiamo alle follie della modernità e della tecnologia… contro il cellulare.. di cui Tesson decide, per questo viaggio di fare a meno.
"Il dispositivo era la somma delle eredità comportamentali delle sollecitazioni sociali, delle influenze politiche e delle difficoltà economiche che determinavano i nostri destini pur restando invertite.
Il dispositivo disponeva di noi. C'é un piccolo verme, il Dicrocoelium Dendriticum che infesta le formiche e ne controlla i movimenti costringendole a rimanere immobili su un filo d'erba, qui sono mangiate dagli erbivori che diventano i nuovi ospiti del parassita.
Il Dricocoelium é il dispositivo della formica. I microchip al silicio sono i nostri Dricocoelium. Ognuno di noi, pienamente consenziente, porta con sé il suo parassita sotto la forma di uno di quei processori tecnologici che regolano le nostre vite".
Per poi finire con l'analisi dello stato dell'agricoltura (francese, ma occidentale in generale)… "il triplice dispositivo dell'economia gloriosa, dell'agricoltura industriale e dell'urbanesimo trionfante erano il parassita delle campagne"... a cercare di dare un nome ed un volto al degrado ed alla fine del mondo antico.
 

domenica 14 luglio 2019

The Real Chernobyl

Dopo i 5 cinque episodi, passati su Sky, che ricostruiscono la terribile vicenda di Chernobyl, mi capita di vedere questo documentario sulla vera storia del disastro nucleare.
Devo dire che non aggiunge nulla di nuovo, se non le voci dei testimoni… e che avvalora la bellissima ricostruzione fatta dalla serie televisiva.
Avendola vissuta, anche se da lontano, anche se - per fortuna - da molto lontano… posso dire che il venir meno del regime sovietico è probabilmente stato causato anche da questa storia… dal aver mentito al popolo ed averlo messo in pericolo. Le dittature, anche quelle del c.d. popolo… prima o poi si distruggono con le loro mani. Si chiama Nemesi.

sabato 13 luglio 2019

Vice - L'uomo nell'ombra


A girare un simile film, nel sottobosco politico italiano, ci sarebbe una tale sequenza di sbadigli da non crederci. Forse è questo il motivo per cui, questi film, tutti girati da americani, che parlano male dell'America, si finisca per ridere, sorridere e poi compatire un modo ed un metodo che non ci appartiene, perché noi lo scimmiottiamo, ma con tutti i correttivi dettati dalla Costituzione.
Grande Christian Bale ad impersonare questo "mostro" della politica americana… penoso rivedere quelle sottospecie di presidenti che gli States si sono beccati negli ultimi 30 anni.
Interessante solo se vi piace politica, storia e dietrologia… per il resto bah! 

venerdì 12 luglio 2019

Pizzo Camino

Adoro unire più passioni insieme, una di queste è la montagna, l'altra è la lettura… a forza di dai e dai, ho scoperto a mie spese che è meglio portarsi un e-reader, pesa meno, non lo inzuppi di sudore (già fatto), non lo sporchi con la polpa di banana (già fatto), e ti porti dietro la Britannica senza alcuna fatica.
Capita così, spesso, che insieme al panino, un piccolo spazio nello zaino è dedicato alla lettura, poi magari non leggo neanche una pagina e quel libro è andato in quota per poi tornare indietro… senza avermi dato nulla… e vabbè!
Ma veniamo al Pizzo Camino. Avevo visto la cima salendo dalla bassa Val d'Ossola, un bel profilo netto, pulito, verde… si, ma come arrivarci… per fortuna mi viene in aiuto Hikr.org e le relazioni dei tanti che seguo.
Una delle possibilità era entrare da Molini, in Valle Anzasca, percorrendo la lunghissima e selvaggia via laterale detta Val Segnana, un sentiero che costeggia il fiume con ponticelli e passerelle… e poi si eleva tra bellissimi faggeti e praterie alpine.. ma credetemi quando dico che, avendo preso il giorno più caldo dell'anno, ero arrivato all'Alpe Lago, al rifugio, mi ero levato tutto e buttato nel torrente… per poi tornare indietro completamente sfatto…
Avevo però tratto una serie di info utili… tra cui, il fatto che proprio di fronte a me stavano le cime della Val Strona, di cui vedevo i lati B, quelli più scoscesi e rocciosi…
E allora, pensa che ti ripensa, perché non partire da Campello Monti, salire al lago Ravinella e poi girare intorno alla piccola cresta che dall'Usciolo degrada a valle… sulla carta è ben segnata e quindi?
Ed infatti, con l'amico Beppe, eccoci qui.
 


 





Saliamo a velocità sostenuta sino al lago, e poi, in un bellissimo ambiente alpino, reso speciale dalle fioriture, ci abbassiamo sino a girare l'angolo… eccoci di fronte alla nostra meta che, pare lì a due passi… ma, col piffero! Ci aspetta ancora una lunga discesa, e poi una risalita.. prima su evidente sentiero… poi su cresta intuitiva ma comunque impegnativa...





Ed eccoci di fronte alla cresta! Ora da qui, si va ad intuizione… un poco a sinistra ed un poco a destra delle rocce si sale, e la pendenza oltre che la fatica, si fanno sentire… ma oramai è lì, vediamo la croce e l'antenna…


Ecco il rifugio raggiunto settimana scorsa… lontanooooo….


Vista dalla cima… il vento è fresco, per fortuna ho portato gilet e giacca vento… che godimento, di fronte al caldissimo fondovalle… in questo momento me la godo davvero. Un panino, anzi due, qualche foto… e poi si scende...
Le nuvole sono un bellissimo complemento del panorama di cime che ci circonda… ogni tanto ci prendono e poi ci lasciano… è ora di tornare… grazie Camino… un bellissimo sogno realizzato.

Eccomi! un poco imbronciato… più che altro sudato… felicissimo nella realtà.

domenica 7 luglio 2019

Alpha - Un'amicizia forte come la vita

5.000 anni di domesticazione risolti in un'ora e 36'... manco Piero Angela, manco il Zichichi di Crozza…
La trama: Keda, figlio di Tau, viene portato a caccia per la prima volta. Lui è il figlio del capotribù e quindi non può, anzi non deve fare figure di merda… e infatti la fa eccome, facendosi caricare da un bisonte e finendo in un burrone.
Il padre, suo malgrado, lo da per morto (meglio morto che pirla) e ritorna al villaggio con le pive nel sacco (ma con molti cosciotti di bisonte)…
La vita è dura nella Preistoria, ma anche la morte non scherza! Animali cattivi, eruzioni (vere non cutanee), fame, freddo, fumo, fastidi (le famose 4 F)… da farsi ibernare e aspettare il Neolitico!
Insomma, Keda, dal burrone esce malconcio ma vivo, si raddrizza il piede rotto (senza passare dal PS di Varese, che lo avrebbe impegnato per 10-12 ore, in piedi e senza primario di radiologia) e lemme lemme si trascina verso casa, nel senso che cerca di ritrovare la strada…
Viene però aggredito da un branco di lupi! Ad uno di questi da una gran mazzata e gli altri, mica scemi, desistono e si allontanano…
Keda, che fondamentalmente, oltre ad essere un babbeo è anche buono, si carica il lupo e lo porta con sé, lo cura, lo nutre, lo aiuta, ci parla, morale, come San Francesco, il lupo diviene suo amico, compagno di viaggio e con lui vive la grande avventura del ritorno a casa, in pieno inverno, in mezzo alle insidie, il freddo, il fumo, la fame, i fastidi (ancora le 4 F, non come in Fast and Furious che sono solo 2 e poi hanno le macchine e vanno più veloci e poi il lupo sulla macchina non salirebbe, e comunque siamo nella preistoria, non c'é ancora stata l'età industriale, Ford e il Fordismo, Marx e il Marxismo, Bruce Lee e il Bruxismo)… Quando torna a casa, invece di prendere due sonori calci in culo, Keda viene curato, il lupo pure, nascono 5 lupetti (spero non sia stato Keda, brutto porco) e da questo gruppo di lupetti e gli umani nasce quel legame che ancora oggi vede certi cani vestiti da pirla (metti il cappottino, il cappellino, le babbucce) maledire il giorno in cui hanno incontrato gli umani per vedersi ridotti, dopo migliaia di anni, in questo terribile stato.
 

sabato 6 luglio 2019

Chernobyl

Era ora, dopo tanto tempo, che girassero una serie televisiva sulla tragedia di Chernobyl, fatta bene, obbiettiva, capace di rendere la disperazione, l'incapacità del regime sovietico oramai agli sgoccioli, la volontà del popolo russo di far fronte con le poche e inappropriate risorse all'emergenza.
5 episodi, dedicati a fisico Valerij Legasov ed agli scienziati che tentarono di dare una risposta al terribile quesito: cosa è successo? e poi, cosa fare per evitare che il disastro diventi tale da distruggere tutto per migliaia di chilometri?
Partiamo dalla fine, dalla morte di Legasov, per poi tornare al principio, alla notte dell'esplosione, frutto di errori, omissioni, bugie, incapacità, ogni genere di mancanza e leggerezza…
Quei giorni del 1986 sono rimasti impressi nella vita di molti di noi, che allora capirono che qualcosa, oltrecortina… qualcosa di terribile stava accadendo… e poi, i divieti di mangiare insalata, di non bere o mangiare cose che arrivavano da Est… e l'evidenza che il regime sovietico stesse mentendo, a sé stesso ed agli altri… a tutti… Da vedere, per ricordare che, sono gli uomini semplici quelli che fanno la differenza.

Correre nel grande vuoto

Quello di Marco Olmo per il deserto è un amore che nasce più di vent'anni fa, quando il corridore piemontese, all'epoca neppure cinquantenne, si è appena affacciato all'universo delle ultramaratone.
E' il 1996, infatti, quando Marco Olmo riceve la proposta di partecipare alla Marathon des Sables, nel deserto del Sahara.
Marco ha già visto il deserto, ma come turista dal finestrino di un'auto e con l'aria condizionata accesa.
Ora invece ha l'opportunità di stare là fuori, a correre come già corre fra le montagne di Robilante, il paesino dove vive.
Quella Marathon des Sables è un successo, nella classifica generale si posiziona terzo, facendosi notare dal pubblico e dalla stampa internazionale, e il deserto gli entra dentro, cambiando il suo modo di correre.
E' da quel momento, infatti, che la sua specialità diventa la lunga distanza da affrontare prima di tutto con una qualità che diventerà la sua cifra: la resistenza.
In questo libro, Marco Olmo ripercorre oltre due decenni di gare nei deserti di tutto il mondo: da quello  libico al deserto della Giordania, dalla terribile Valle della Morte in California fino alle zone desertiche dell'Islanda, passando per il deserto di sale della Bolivia, il Sinai e molti altri.
Non si possono lasciare tracce nel deserto, Marco lo ha imparato in questi anni: una sola raffica di vento è sufficiente a farle scomparire dalla sabbia.
Eppure ogni deserto ha lasciato in lui una traccia incancellabile, alimentando quell'amore di cui sono impregnate le pagine di questo racconto. (tratto dal libro).

 

Dopo aver letto "il corridore" e "il miglior tempo" concludo la trilogia biografica di Marco Olmo, un corridore famoso soprattutto per aver unito due fattori tra loro spesso inconciliabili (o forse no) età e resistenza... anni e lunga distanza, a dimostrazione che volere è potere.
Questo libro non è altro che un tributo dello stesso Olmo nei confronti del deserto… luogo per lui di ispirazione e di crescita. E' li, infatti nell'assoluto silenzio e nell'assenza di quella importuna moltitudine (forse non a caso Olmo è piemontese, della peggior specie) che si misura, con sé stesso prima di tutto, trovando il suo equilibrio e la forza che lo renderà famoso quale atleta.
Niente di ché, intendiamoci, Olmo non è un grande scrittore e chi lo ha aiutato in questo testo (forse per volontà dello stesso atleta) non è riuscito ad aggiungere nulla di particolarmente vibrante. Resta comunque un libro piacevole che parla di sport, ma anche di rivincita, voglia di riscatto e curiosità verso il prossimo.

giovedì 4 luglio 2019

Venom

Allora… vediamo un po'… da che parte iniziare a parlare di Venom… Ah si, ecco. C'é Tom Hardy, che a me piace tanto. In questo film però, è sotto tono, forse è la regia che ha deciso così, ma pare davvero un babbeo alle prime armi della recitazione… con una discreta fisicità, ma comunque imbranato. C'é poi il suo alter-ego, il mostro, il parassita come lo chiama lui (facendolo arrabbiare), che è decisamente più simpatico… a condizione di accettare una evidente deformazione del corpo (ma anche Hulk riesce a farlo) e la decisa trasformazione subitanea da un essere all'altro ed anzi con modalità che ne fanno condividere entrambe le essenze… Morale. il film fa decisamente pena. Le scene prevedibili, la trama risibile, il finale ovvio, scontato, quasi ci offenderemmo se provasse anche solo da lontano a stupirci…
Accettiamo la sospensione della realtà, accettiamo la sospensione di quasi tutto, ed infine accettiamo quel che viene, qualsiasi cosa… con tanta tanta rassegnazione.

Lago di Camposecco e Lago del Cingino

Una grande cavalcata tra montagne stupende, paesaggi superlativi, luoghi che desideravo vedere da tanto tempo. Eccomi, una delle più belle gite degli ultimi tempi, che mi ha dato tantissimo in termini di gratificazione. Gambe e fiato hanno fatto il loro dovere e il resto lo ha messo l'ambiente speciale.
Una gita da ricordare.

























 

 









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