giovedì 25 luglio 2019

Il volo del corvo timido

"Con quest'ultima perla abbiamo chiuso la nostra collana" scrive Nives Meroi tornando a Kathmandu dopo aver completato con l'Annapurna la salita di tutti e quattordici gli ottomila della Terra.
Sempre in cordata con il marito Romano, sempre con uno stile leggero ed essenziale, senza bombole d'ossigeno né climbing sherpa.
Il loro percorso non è stato solo un inno alla bellezza dei paesaggi sconfinati, ma anche un itinerario di crescita e consapevolezza.
Ogni cima ha segnato un passaggio - soprattutto il Kangchendzonga, con la malattia e la guarigione di Romano - e ha portato un insegnamento, come quest'ultimo, l'Annapurna.
Nives e Romano sono partiti senza sapere che avrebbero affrontato un cammino di cambiamento: pensavano di escludere l'elicottero ma ne hanno fatto uso, credevano di salire solo in coppia e l'hanno dovuto aprirsi a una cordata allargata con due cileni e due spagnoli, molto diversi da loro.
Eppure, "proprio lì dove gli opposti si sono incontrati, si è sprigionata l'energia per resistere insieme alle bufere, agli ostacoli, fino a sparigliare le carte di una partita che sembrava persa".
Solo mettendosi ciascuno in gioco con la propria esperienza, e ponendo tutti quanti in dubbio le proprie presunte certezze, hanno potuto compiere un'impresa che altrimenti sarebbe stata impossibile.
Una scalata d'altri tempi, fatta di rispetto per la montagna e fiducia negli altri, a dimostrazione che in natura non esiste forza più formidabile dell'alleanza tra persone della solidarietà e della collaborazione. Un atto di ribellione all'individualismo del nostro tempo cinico. Quasi un'utopia che prende forma (tratto dal libro).


Il libro l'ho avuto - in formato digitale - da Alessio, il mio spacciatore personale.
Una donna che scrive di alpinismo… che strano. Beh credetemi, al pari del bellissimo libro di Nan Sheperd "La montagna vivente" scritto però molto tempo or sono, devo dire che questo testo è godibilissimo e racconta un modo diverso di salire sulle più alte cime del pianeta. Un modo romantico, lieve, che mette da parte pericolo e gloria per rendere palpabili le umane, umanissime sensazioni provate, prima durante e dopo la salita.
Così quando descrive i suoi compagni di viaggio (e anche sé stessa): "Gli alpinisti sono gente strana, spesso lupi solitari che si guardano con sospetto. Perché concentrati sui propri obiettivi cercano l'affermazione indipendentemente dagli altri. Tanto più nell'alpinismo sportivo della nuova era, dove l'elemento fondamentale è il singolo; la cordata, quando c'é, é una squadra sportiva".

O quando, durante la salita, si trova circondata dal nulla della nebbia: "E' strana la nebbia: ti fa barcollare come un ubriaco in una notte senza stelle, mentre in realtà é un'esplosione di luce che annulla le ombre e fa svanire i contorni. Ma senza ombre che le si oppongono, le si oppongono, nemmeno la luce è visibile, e così, incapaci di percepire le cose nella spazio, sembriamo infettati da un'epidemia di cecità bianca".

E' proprio allora, in mezzo al nulla ed alle prese con pericoli immensi che occorre guardarsi dentro, trovare una diversa unità di misura di sé e delle cose che ci circondano: "Lo confesso: se é l'utilità a dare la misura del necessario, allora questa musica è necessaria.
E allora qual é il punto in cui termina l'utile e comincia l'inutile? E qual é stata l'utilità di ostinarsi in questa splendida, difficile e faticosissima scalata d'altri tempi? E' stato utile o inutile inseguire per più di vent'anni la bellezza del sogno di quattordici ottomila da salire insieme?"

Ma in fondo esiste una formula, quella che permette all'uomo, sin dalle sue origini, di superare ogni avversità: "Ma la fiducia fra le persone é antica quanto il mondo, perché l'alleanza é la formula più forte che esiste in natura. La più fruttuosa".
E' con queste considerazioni che concludiamo il libro.. un libro di viaggio, di avventura, ma certamente, prima di tutto, di introspezione.


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