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sabato 20 luglio 2019

Sentieri Neri

"Se me la cavo, traverso la Francia a piedi". Tesson è ricoverato in un letto d'ospedale, il corpo in frantumi a causa di una caduta di otto metri che poteva costargli la vita
In quel letto rimarrà per mesi, ed é lì che è nata la promessa da cui è scaturito questo libro.
Un anno dopo, al posto di una canonica riabilitazione in un centro specializzato, Tesson si mette in movimento nonostante i chiodi nella schiena e una paralisi facciale non ancora recuperata.
La bocca gli pende da un lato e un occhio gli sporge dall'orbita, i ragazzini lo guardano con stupore mentre affronta il cammino.
Si è messo in testa di seguire un precetto di Pessoa; "Della pianta dico è una pianta Di me stesso dico sono io. E non dico altro. Che altro c'é da dire?".
Nel corso di questo viaggio solitario e sorprendente compiuto tra l'agosto e il novembre del 2015 partendo dalla Provenza per arrivare in Normandia, Tesson racconta un paesaggio impervio e sconosciuto che si rivela percorrendo vie secondarie ignote ai più, sentieri neri che sembrano ingressi nascosti e segreti a un altro mondo, dove dileguarsi e scomparire.
Camminando Tesson osserva la natura sottratta all'invadenza dell'urbanizzazione e all'arrivo della tecnologia, scopre il silenzio degli insetti lì dove l'agricoltura intensiva ha ridisegnato il paesaggio, ascolta gli animali nella notte e in fondo rifugge gli uomini.
Dalle sue pagine e dalla sua ispirazione la Francia di campagna, la Francia profonda emerge come un luogo carico di vitalità, persino tumultuoso. (tratto da libro).
 
 

E' più forte di me: adoro la narrativa di viaggio. Quella narrazione delle cose, fatta camminando, pedalando, muovendosi lentamente e narrando il vissuto. Se poi a farlo sono persone come Sylvaine Tesson, piuttosto che Paolo Rumiz, allora si finisce per mescolare (con immenso piacere) storia, geografia, religione, persone, cultura e civiltà.. ad un punto tale da farne un immenso ed incredibile diario di viaggio, con un viaggio però, capace di portarci nello spazio e nel tempo.
Questo libro ha finito per appassionarmi, facendomi scoprire una Francia ignota, volutamente cercata, per lasciar fuori modernità, progresso, futuro costruito a tavolino… ciò che la nostra società, per un certo periodo ha tentato di costruire e che ora non cerca nemmeno più…
Luoghi ai margini, luoghi che conservano l'identità agricola, silvana, antica…
L'avventura di Tesson ha inizio all'ospedale… caduto da un tetto, ubriaco per sua stessa ammissione, rischia la vita… "all'ospedale tutti mi avevano accolto bene. il sistema sanitario francese ha questo di buono; non mette mai nessuno di fronte alle sue responsabilità. In una società antica, governata da un principio etico, un ubriaco non dovrebbe essere curato con la stessa attenzione che si dedica a chi ne ha veramente bisogno"... ma evidentemente, questa società etica non esiste e Tesson, una volta dimesso è libero di mettere in pratica i suoi propositi… attraversare la Francia sconosciuta, quella non toccata dalla modernità… quella di cui "eravamo studi delle parole d'ordine del nostro tempo: enjoy!, take care!, be safe!, be connected! mi sembrava che vivere fosse sinonimo di fuggire".
Una società capace di fagocitarci e renderci schiavi senza alcuna forzatura, anzi una schiavitù voluta: "stavamo diventando il corpo sociale più docile e imbelle della storia dell'umanità. La vita era migliore da quando aveva preso a passare attraverso gli schermi? Non ne ero sicuro".
Poi il racconto vira, si fa storia, il richiamo ad un lontano passato… (che mi ha dato spunto per una successiva lettura) "il Rodano, alimentato dai recenti temporali, era in piena. Passi il fiume a Point-Saint- Esprit e detti un'occhiata alle rapide a valle. Come avevano fatto gli elefanti ad attraversare una corrente simile".
Tesson scopre che, il suo camminare, nello spazio e nel tempo, era diventato una medicina: "Per il momento la guarigione mi procurava una sensazione innaturale: quella di una riconquista quotidiana. Era come se il processo di demolizione biologica della vita si fosse invertito ed io avessi cominciato a ringiovanire. Un giorno, giunta la completa guarigione, tutto si sarebbe rovesciato di nuovo ed io avrei ricominciato ad invecchiare".
E poi ancora un richiamo alle follie della modernità e della tecnologia… contro il cellulare.. di cui Tesson decide, per questo viaggio di fare a meno.
"Il dispositivo era la somma delle eredità comportamentali delle sollecitazioni sociali, delle influenze politiche e delle difficoltà economiche che determinavano i nostri destini pur restando invertite.
Il dispositivo disponeva di noi. C'é un piccolo verme, il Dicrocoelium Dendriticum che infesta le formiche e ne controlla i movimenti costringendole a rimanere immobili su un filo d'erba, qui sono mangiate dagli erbivori che diventano i nuovi ospiti del parassita.
Il Dricocoelium é il dispositivo della formica. I microchip al silicio sono i nostri Dricocoelium. Ognuno di noi, pienamente consenziente, porta con sé il suo parassita sotto la forma di uno di quei processori tecnologici che regolano le nostre vite".
Per poi finire con l'analisi dello stato dell'agricoltura (francese, ma occidentale in generale)… "il triplice dispositivo dell'economia gloriosa, dell'agricoltura industriale e dell'urbanesimo trionfante erano il parassita delle campagne"... a cercare di dare un nome ed un volto al degrado ed alla fine del mondo antico.
 

venerdì 10 novembre 2017

Pecora Nera

 
A dimostrazione di come i tempi cambiano, di come è cambiata la società, ecco Devis Bonanni, in arte "Pecora Nera"... un ragazzo che ha deciso di tornare alla terra, all'agricoltura ed all'autosostentamento. Niente auto, niente bollette, niente di niente. Una bicicletta. Una piccola casetta, produzione biologica ed un libro per farsi conoscere ed apprezzare... Cinquant'anni or sono, sarebbe stata la normalità... questo lasso di tempo (come ben ci ricordava Pier Paolo Pasolini) ha trasformato tutto. Per questo, appare strano, che questa sua scelta appaia strana. Eppure, questo uscire dal gregge ha una doppia valenza... quella di apprezzare le cose semplici e quella di non accettare una vita condizionata dalle cose.. dagli oggetti. Una sorta di pulizia mentale.
 
"Ha solo vent'anni Devis, quando in lui scocca la scintilla: vivere altrimenti è possibile. All'inizio é solo un sentimento, un'aspirazione, che a poco a poco si trasforma in concreto progetto di vita.
Inizia così la sua avventura: da un piccolo orto senza aver mai visto prima una pianta di pomodoro, coltivando patate e creali per ritrovare un contatto più immediato con la Natura e realizzare una prima, rudimentale forma di autosufficienza alimentare, accompagnata da uno stile di vita semplice ed ecosostenibile.
Nella dolcezza della primavera così come nella violenza di una grandinata che compromette le colture, si genera, in un parto al contrario, un cordone ombelicale che non sarà più possibile recidere.
Cuciti sulla pelle dal sole delle stagioni, i panni del contadino sono difficili da smettere.
A tutto questo fa da sfondo l'adorata montagna di cui Devis si sente abitante nuovo e insieme antico, forestiero e indigeno.
Nel piccolo paese non mancano le incomprensioni con la famiglia e i compaesani, nei confronti dei quali avverte tutta la difficoltà di comunicare abitudini tanto originali.
Sempre e comunque in direzione ostinata e contraria.
Passa un po' di tempo e a chi prevede che presto si stancherà di tutto ciò, Devis risponde con un atto irrevocabile: a ventitré anni si licenzia dall'impiego come tecnico informatico e si trasferisce in una casetta prefabbricata riscaldata da una stufa a legna per dedicarsi a tempo pieno a quella che battezza "vita frugale".
Sono gli anni in cui nasce a matura un rapporto simbiotico con la natura e i suoi elementi. E proprio quando le forze sembrano esaurirsi e l'entusiasmo delle prime stagioni vacilla, in Devis matura la convinzione che non potrà proseguire oltre senza condividere con altri il suo cammino.
 

giovedì 8 gennaio 2015

Storia culturale del clima

 
"Chi sa quando sia variabile il clima e quanto sia elastica la reazione culturale dell'uomo ai suoi mutamenti, sarà in grado di comprendere meglio il dibattito che si sta svolgendo in questi anni sul riscaldamento globale.
Gli uomini sono figli dell'Era Glaciale: solo quando: solo quando il freddo intenso dell'ultima glaciazione cominciò a stemperarsi, oltre 10.000 anni fa, iniziò la coltivazione e con questa l'urbanizzazione e - in definitiva - l'inizio della Storia.
Può apparire paradossale, ma è stato il riscaldamento del clima a crearci.
Nel corso di tutta la storia umana, d'altra parte, il clima non è certo rimasto stabile e i suoi effetti sulle culture sono stati enormi.
Non si può prescindere dalle condizioni climatiche nello studio delle civiltà, dei popoli, delle guerre, delle migrazioni, delle carestie, delle religioni e persino dell'arte e della letteratura.
Diventa sempre più chiaro che il clima della Terra è parte integrante e motore inconsapevole dello sviluppo storico, politico e culturale dell'uomo e Wolfgang Behringer lo dimostra per la prima volta in forma estesa, con chiarezza e abbondanza di esempi.
Una cosa è il cambiamento del clima, altra è la risposta culturale dell'uomo al mutare delle temperature, nel freddo Cinquecento come nel caldo odierno".  (tratto dal libro).

 
 
Storia culturale del clima è l'analisi del nostro vivere sul pianeta Terra dalla nostra apparizione sino ai giorni nostri. Perché se c'è una cosa che non dobbiamo dimenticare mai è che, se noi esistiamo, è grazie alle risorse (limitate) del nostro Pianeta ed alle bizzarrie del tempo che ne condizionano la produzione e l'utilizzo.
Il libro ha un inestimabile pregio: smonta il mito del clima stabile, dimostrando una bizzarria e una variabilità del tempo meteorologico tale da farci ripensare il nostro essere e il nostro agire oltre a tutte le scuole di pensiero ecologiche e pro-industria.
Nella doppia cavalcata del tempo cronologico e del tempo meteorologico scopriamo i possibili legami tra eventi che hanno cambiato la Storia e clima. Non sempre le ipotesi convincono, ma in alcuni casi vi è da riflettere. La scomparsa di grandi civiltà del passato, meno attrezzate a resistere al cambiamento climatico e le grandi migrazioni di popoli in tempi più recenti (si pensi alla primavera araba, condizionata dal prezzo dei prodotti alimentari, incrementato a causa anche dei cattivi raccolti) devono aiutarci a comprendere meglio il legame tra uomo, mondo e clima.
Le sfide climatiche che ci attendono sono enormi, ma soprattutto devono essere affrontate con le giuste conoscenze e senza sterili fondamentalismi o cattiva coscienza.
 


L'economia sociale in Italia - Rivista