domenica 30 settembre 2018

The Nun

 
Non si sa se ridere o piangere, per descrivere questo nuovo episodio della serie horror capitanata dai coniugi Warren e che, dopo le bambole (Annabelle), entra in convento per svelare i retroscena delle visioni di Lorraine già viste nei precedenti racconti.
Siamo in Romania, 1952 dopo la Guerra, un convento maledetto, suore terrorizzate che si tolgono la vita, un demone risvegliato, un prete accompagnato da una novizia e da un bellimbusto franco-canadese indaga.
Cosa funziona? Cosa non funziona affatto?
La trama è risibile, vecchia, stantia, puzza di muffa peggio del monastero.
Gli effetti speciali… ancora e sempre quelli… muffi, vecchi, peggio dei morti nel cimitero.
Il demone... vecchio, muffo, penoso. Già visto, della peggiore iconografia, lento, inutile, rabbioso senza motivo… in una parola: noioso.
Quindi? Cosa ci rimane? L'ambientazione all'esterno è notevole. Il monastero è bello. Gli interni sono bui, incomprensibili, non creano suspense, non hanno appeal… Insomma, non ci si aspetta niente che non sia già evidente.
Ecco, si, un commento mi pare appropriato, e non è il mio: "Film brutto. Pare la mummia".
Spendiamo due righe per la trama. Semmai ce ne fosse una.
Interno del convento: due suore scendono nei sotterranei con una chiave, aprono una porta, si ode un terribile verso, una dice all'altra o così o pomì… una viene trascinata nel buio, l'altra si impicca e si butta dalla finestra.
Esterno del convento: un giovane si avvicina al convento, con lui il carretto trascinato a mano (porta i viveri alle suore), vicino all'ingresso vede la suora impiccata… la corda si rompe e la povera morta cade sui gradini…
Vaticano: Pare Burke, demonologo, viene incaricato di indagare l'evento… non si sa mai, magari ci si può fare dei soldi tipo Disneyland! Con lui una novizia che conosce la strada…
Romania: i due arrivano e incontrano il giovane (francese o franco-canadese) che li accompagnerà al convento. Eccoli nei pressi del… nemmeno il cavallo ci vuole andare! Eccoli ora a piedi sul posto, il sangue sulle scale è ancora fresco… minchia che paura! entrano nella dispensa, dove è conservata la morta… si è mossa dall'ultima volta… minchia, due paure! entrano nella chiesa e incontrano la badessa… voce profonda, abito scuro, viso invisibile… minchia, tre paure! durante la notte, suoni terribili, voci, morti che inseguono i vivi, il prete che finisce in una cassa sottoterra e suona il campanello per essere ritrovato… minchia, per favore basta!
Se non vi siete ancora addormentati vengo al dunque: il demone che si è impossessato del convento è Valak, è passato da un varco spazio-temporale posto nel pavimento della cantina, per rinchiuderlo occorre un incredibile talismano: "il sangue di Cristo". Quindi che fare?  Cerca il talismano, cerca il varco, cerca il mostro, spingi il mostro nel varco, versaci sopra il "sangue di Cristo" manco fosse una resina adesiva della Mapelastik e tutto si risolve… nel mezzo ovviamente, trattandosi di cose religiose, qualche preghiera ci vuole, qualche crocifisso che cade, si incendia, si capovolge, ti cade in testa, ci vuole… aggiungi apparizioni, incantesimi, serpenti, mostri, suore con la faccia di Marilyn Manson, rumori sinistri e destri, soffi di vento, morti che si risvegliano, voci strane… eccheccavolo! era un posto così silenzioso, ed ora? manco ci avessero dirottato il traffico di Malpensa. Non vi dirò come va a finire.. ci potete arrivare da soli.
Morale: Valak, il demone vestito da suora, forse perché altri abiti in giro non c'erano, non fa paura. Fa girare i crocifissi, ed anche un poco i maroni a chi ha speso i soldi del biglietto.

mercoledì 26 settembre 2018

Funghi

 
Se uno ha una passione, perché non coltivarla? E se si coltiva da sola e tu devi solo passare a raccoglierne i frutti? Ecco, i funghi appunto.. uno di quei casi in cui tu entri nel bosco e se hai fortuna, occhio, passione, pazienza, rispetto del luogo, voglia di andare lento lento… allora il divertimento è assicurato.. con qualsiasi tempo.






  




 
 

 

 

domenica 23 settembre 2018

Winter's dream

 
Per costruire una buona storia di fantascienza, una di quelle in cui, a seguito di un cataclisma non noto, l'umanità è costretta a fare i conti con un qualcun altro scomodo, occorrono tre elementi:
Il primo: che venga generato l'umanoide. Un essere in tutto e per tutto simile a noi che, pur macchina, ci assomigli, al punto da confonderci, farci vedere e specchiarci in lui sino a creare empatia, oppure odio;
il secondo: che l'umanoide prenda coscienza di sé, della sua somiglianza al suo creatore, ma anche della sua diversità, della sua vera o presunta capacità di superare i limiti e i difetti di chi lo ha generato;
il terzo: che l'umano comprenda questo passaggio e ne abbia paura. Una paura dettata dalla capacità di vedere che, in cima alla scala gerarchica vi è qualcuno superiore a lui (magari non è vero, magari vuole solo essere lasciato in pace) che va assolutamente annullato.
E' questo il peccato mortale, così come in Dio. E' l'eresia da punire.
2307 Winter's dream è in parte questo: una caccia all'umanoide, un riconoscimento della diversità e dell'uguaglianza, un bisogno di libertà, ma anche il bisogno di essere riconosciuto ed apprezzato dal creatore. Per fare tutto questo con un budget miserrimo occorrono: pochi interpreti, un paesaggio ghiacciato e vuoto, due e tre baracche cadenti, un paio di interni ancor più miseri (arredo Ikea), molti sogni, poche parole magari citando Adolf Hitler ed il Mein Kampf, una bambina contesa dalle due specie, la trama che ci porta in una direzione e poi, tanto per cambiare, rivela al protagonista che è stato gabbato. Ho visto di meglio, per cui non ha aggiunto nulla di nuovo alle migliaia di variabili già viste. Utile per passare una serata quando hai un unico canale.
 
 
 

sabato 22 settembre 2018

Super 8

Quando un film parla di alieni, lo fa irrimediabilmente per parlare di noi umani.
Della nostra incapacità a comprendere, della nostra incomunicabilità, della nostra ingordigia, della nostra paura di ogni alieno che alberga tra noi: il diverso, lo straniero, il povero innanzitutto…
E per farlo usa la vecchia formula dell'incomunicabilità tra età. Preadolescenti ed adolescenti da un lato ed adulti dall'altro… sin dalla formula dei Peanuts questo meccanismo ci è noto… Leggetevi le strisce di Shulz ove gli adulti sono rappresentati senza testa… giusto all'altezza dei piccoli che provano a parlarci senza riuscire a comprenderli... e noi con loro…
E dire che, dopo E.T. qualcuno affermava che, il connubio alieni, adolescenti ed adulti era stato totalmente esplorato e non avesse più nulla da dire… ma...
Essendo invece il giochetto più antico del mondo, pensiamo a "il segreto del bosco vecchio" di Buzzati (letto e recensito recentemente) ove gli adulti riescono si a parlare con animali, geni del bosco e con gli elementi della natura, ma lo fanno solo per un loro tornaconto… hanno perso l'innocenza dei piccoli e si vede.
Quindi, che cosa porta di nuovo "Super 8" rispetto al passato? La novità sta essenzialmente nella rappresentazione del cinema all'interno del cinema. Per comprendere la realtà i ragazzi devono passare attraverso la visione data dalla cinepresa. La loro passione per il cinema, noto per sospendere la realtà, permette loro di vedere ciò che gli adulti non vogliono far vedere: l'alieno.
Ancora una volta assistiamo alla rivolta dell'Adamo Americano, questa volta dell'adolescente, capace poi di coinvolgere l'adulto (i due padri dei ragazzi, niente madri questa volta) contro la società, i militari, lo Stato, le bugie e l'alterazione del vero.
L'alieno diventa allora la chiave di lettura (insieme al cinema) del nostro mondo. Un alieno per nulla buono, anzi incazzoso (e lo si capisce, dopo tutto quello che ha subito)..
Ma la parte più bella del film è un'altra. Quando due dei ragazzi litigano per amore dell'unica ragazza del gruppo, lo fanno senza secondi fini, senza ipocrisia e bugie: esprimono i loro sentimenti alla luce del sole, con un coraggio che un adulto non avrebbe mai.
 


venerdì 21 settembre 2018

il segreto del bosco vecchio

Quando il colonnello Sebastiano Procolo eredita il Bosco Vecchio, tutti gli spiriti del bosco capiscono che nulla sarà più come prima.
Ed infatti, devono mercanteggiare, accettare compromessi, abbassare la testa per sopravvivere… sembra la vittoria del capitalismo sull'ambiente… eppure.. qualcosa deve succedere, non fosse altro che siamo di fronte ad una fiaba e, si sa, le fiabe devono andare bene costi quel che costi.
Ed in fatti così sarà…. Sebastiano Procolo cambierà idea, diventerà più umano, saprà farsi perdonare e, quasi, farsi voler bene.
Libro sul diventare grandi e sul cambiamento possibile ad ogni età…. Lieve e divertente fiaba di Dino Buzzati, forse non bella come "l'invasione degli orsi in Sicilia", ma comunque piacevole e semplice.

 
 
"Solo la menzogna ha bisogno di essere inventata".

"il libro ci parla di una vita che finisce, ma a suo modo rinasce e di una che inizia, ma in qualche modo viene corrotta. La prima è quella del Colonnello Sebastiano Procolo. E' in grado di vedere la magia del Bosco Vecchio, parlare con la gazza, con il genio del bosco e con il Vento Matteo… ma tutto questo ha solo un senso utilitaristico… non vi è nulla più della gratuità del gesto infantile. Dall'altra parte c'é Benedetto, suo nipote. Ingenuo, deve crescere, in mezzo a pericoli che nemmeno lui è in grado di distinguere, a persone malvagie che a lui appaiono buone, al più bislacche.
Questo incontro, questo miscuglio di idee, speranze, visioni, cambierà la loro vita e cambierà il destino del Bosco Vecchio e dei suoi abitanti.
Il vecchio, infine, farà qualcosa di utile, gratuito e buono. il giovane imparerà, combattendo a farsi strada nella vita".

martedì 18 settembre 2018

Il pastore di stambecchi

Leggere la biografia di Luigi Oreiller è percorrere la cronaca degli ultimi ottant'anni delle nostre montagne. La povertà, la miseria, la fame, i lavori obbligati dagli eventi meteo, l'arrangiarsi con quel che c'é.. il predare la fauna selvatica per sopravvivere… e dall'altro lato, una profonda conoscenza della montagna, delle sue rigide regole, dei pericoli e dei piccoli vantaggi che può donare…
Ad un certo punto, tutto cambia. Arriva il benessere, che allontana molta gente, arrivano le strade, che portano turismo ma anche inquinamento, difficoltà a capirsi e disagio nel confronto con il cittadino… Come resistere a tutto ciò? Oggi la chiamano "resilienza".. semplicemente restare sé stessi, con il proprio patrimonio di piccole conoscenze, rispettando i tempi della natura e sapendo ascoltare i silenziosi segnali che questa ci invia… un patrimonio culturale destinato a scomparire ma che forse, a fatica, può ancora essere salvaguardato… messo a servizio di quanti abbiano la voglia e la passione di ascoltare.
 
 
"La vecchiaia è sottrazione: si perdono chili, centimetri di statura, se ne vanno la vista e le persone".
 
"Nella sua valle, sa il carattere di ogni canalone, di ogni balza di roccia.
Riconosce le volpi, i camosci, le vipere, i gipeti.
Può chiamare per nome ogni valanga.
La montagna per Luigi Oreiller non è una sfida né una prestazione.
E' la sua casa di terra e di cielo, un orizzonte a cui appartenere.
Luigi nasce nella povertà e cresce con la guerra.
Valdostano ma "anche" italiano, trascorre i suoi 84 anni a Rhemes - Notre Dame, venti comignoli rubati alla slavina al fondo di una valle stretta dal fascino selvatico, su un versante del Parco Nazionale del Gran Paradiso sull'altra riserva di caccia.
Da ragazzo, armato alla fame. é cacciatore, contrabbandiere, manovale.
Quando diventa guardaparco, cambia sguardo.
Dietro le lenti del cannocchiale, nelle lunghe solitarie giornate di appostamento ai bracconieri, diventa il signore delle cenge, segue il volo delle aquile e sperimenta qualcosa di molto simile all'amore.
Stagione dopo stagione, trasforma gli alberi in sculture, scova tassi e marmotte, parla con i cani, le mucche e le galline.
A volte anche con gli uomini.
Quello di Oreiller è un mondo ormai perduto, travolto da una modernità sena pazienza, da un fiume di gente che torna ma non resta.
Eppure, nei suoi occhi, nelle sue mani nodose e forti, tutto ha ancora memoria e lui ha memoria di tutto.
Le sue parole, consegnate a chi, come Irene Borgna , le sa ascoltare, conducono lontano, fuori traccia, tra valichi nascosti.
E segnano il tempo, come gli anelli di un tronco, come i cerchi sulle corna di un vecchio stambecco".

venerdì 14 settembre 2018

Eliza Graves

Preparatevi a vedere un bellissimo thriller, ambientato in un manicomio inglese a cavallo tra '800 e '900; un posto in cui, ben presto, non si capisce più chi sia chi…
Tratto da un racconto di Edgar Allan Poe, diretto da Brad Anderson, quello de "L'uomo senza sonno", questo medical-thriller in costume ha certamente dalla sua, il voler far riflettere sulla medicina e sul metodo utilizzato nel passato per curare, contenere, allontanare la malattia mentale.
E' interessante inoltre per rendersi conto di come la società del passato e la nostra, considerino in modo completamente diverso la malattia.
A maggior ragione in Italia, patria di quel grandissimo uomo che è stato Marco Basaglia.
Ma torniamo alla trama del nostro film: il Dottor Edward raggiunge alla vigilia di Natale l'ospedale psichiatrico di Stonehearst Asylum. Fresco di studi vuole fare esperienza sul campo.
Viene subito ben accolto dal dottor Lamb, che dirige la struttura e ben introdotto in quello che è un innovativo centro di cura. Qui infatti i malati sono liberi da restrizioni e si mescolano a medici e sani.
Con questo nuovo metodo, Lamb ritiene di poter curare ma anche di dare maggior conforto alla sofferenza dei suoi pazienti…
Ma non tutto è come appare: una notte, Edward sente dei rumori e scopre, nelle cantine, il vero personale medico… sotto chiave, denutrito.. i folli si sono impadroniti della clinica e stanno cambiando le regole del gioco.
Edward deve liberarli ma al tempo stesso, non farsi scoprire e portare in salvo Eliza Graves, una bellissima donna, in cura per le sue turbe derivanti dal non riuscire ad accettare il contatto umano..
Una battaglia contro il tempo, che al tempo stesso porterà a scoprire un'altra verità… quella su chi realmente sia Edward.
Ottimamente diretto e recitato, riesce a sorprenderci con attimi di tenerezza e momenti di ilarità, ma anche obbligandoci alla riflessione.

giovedì 13 settembre 2018

Perché ci ostiniamo

"Entomologo, affabulatore e audace pensatore, Fredrik Sjoberg ci accompagna in nove viaggi di scoperta seguendo il suo fiuto per le storie di eccezione che si nascondono dietro i dettagli più marginali.
Un'escursione sulle tracce di un tiglio centenario o un nome trovato sul retro di un raro autoscatto di Strindberg diventano il punto di partenza per funamboliche avventure attraverso la storia, la natura, l'arte, tra aneddoti bizzarri e personaggi tanto curiosi quanto sconosciuti, all'insegna di quel gusto per la ricerca e per il "pezzo unico" che lo Sjoberg collezionista sa tradurre in letteratura.
Dalla battuta di caccia di Theodore Roosevelt che lanciò il popolare orsacchiotto Teddy Bear alla passione per l'arte che a inizio '900 trasformò un impiegato delle poste di Göteborg in un collezionista di avanguardia, dall'incontro tra Lenin e la pioniera dell'ambientalismo svedese Anna Lindhagen al ruolo che ha avuto l'invenzione della borsa, nella lontana preistoria, per l'evoluzione umana: di racconto in divagazione ci ritroviamo a osservare il mondo con lo sguardo di uno scienziato - umanista e fine provocatore, che in ogni campo rivendica l'importanza, oggi trascurata o data per scontata, della bellezza.
Quella bellezza che di rado si affaccia nella ricerca estetica contemporanea e di cui non si parla mai nelle politiche ambientali, così tese a proteggere la biodiversità da perdere di vista il valore poetico di uno splendido paesaggio.
Facendo incontrare natura e bellezza /cultura nella leggerezza ironica delle sue pagine, Sjoberg ci porta lungo quel crinale, come lo definì Nabokov che lega scienza e arte".
 

Appena ho saputo di questo nuovo libro di Sjoberg, mi sono precipitato, non ad acquistarlo, ma a prenotarlo in biblioteca.. con la speranza che, dopo l'exploit di "L'arte di collezionare le mosche" e la altrettanto positiva prova de "il re dell'uvetta", Sjoberg fosse riuscito a riprendersi dal tonfo (ma questo è un giudizio tutto mio) de "L'arte della fuga" terzo episodio dei suoi racconti, mix tra scienza, biografia, storia (con la S grande e piccola) e tante piccole cose messe insieme… Un tonfo che (a mio giudizio sempre, sia ben chiaro) prosegue. Perché si, questo "Perché ci ostiniamo" non convince.. con nove racconti ove, con tutto il rispetto che si deve ad uno scrittore/scienziato/divulgatore e tante altre cose ancora, mi pare che si  faccia come i centrocampisti… dei gran passaggi avanti ed indietro, del gran palleggio, bellissime azioni sia chiaro… ma nulla, neanche un goal, nemmeno un palo o una traversa.. lì, inchiodati a centro campo, con i tifosi che per metà partita ti osannano e per l'altra metà ti scuoierebbero vivo… Questo mi è parso di vedere nel quarto volume… Morale: diventi famoso con il primo, ti spremi con il secondo, caschi con il terzo, il quarto è fatto di frattaglie dei tre precedenti… ora, come nei migliori pasti, siamo alla frutta. O tiri fuori il coniglio dal cappello, o la prossima tua fatica te la puoi cantare e suonare da solo.

La famosa invasione degli orsi in Sicilia

"Dunque ascoltiamo senza batter ciglia la famosa invasione degli orsi in Sicilia".

Come non ricordare "la fattoria degli animali" anche se in chiave sicula? Gli orsi, buoni e coraggiosi, altruisti e candidi, opposti agli umani cattivi, arroganti, feroci ed egoisti… Come non parteggiare per i primi? E poi, il cambiamento.. il potere che tutto corrompe. Ma questa è una novella, non un racconto distopico… e quindi gli orsi si accorgono dell'errore e tornano sui loro passi… abbandonano il panciotto, gli sfarzi della reggia, i vizi… e fanno all'inverso il viaggio verso le loro montagne (ancora montagne nei racconti di Buzzati)… ecco cosa avrebbe dovuto leggere il maiale Napoleone!
                           


"Nel 1945 usciva a puntate sul Corriere dei Piccoli, un racconto che aveva come personaggi principali gli Orsi.
Erano un popolo numeroso e pacifico ed avevano un Re, Leonzio.
Un giorno, mentre andava in cerca di funghi sui monti della Sicilia col figlioletto Tonio, due cacciatori rapirono il piccolo.
Re Leonzio, addolorato, non poteva far la figura di chi avesse perso il figlio e così ritornò dai suoi sudditi dicendo che Tornio era morto cadendo da un dirupo.
Anni dopo, un grande freddo prese alla sprovvista gli orsi sulla montagna.
L'unica cosa da fare per non morire era quello di scendere a valle dove vivevano gli uomini.
Questi però erano gente cattiva ed avevano al loro comando un uomo ancora più terribile, il granduca , che altri non era che il tiranno della Sicilia.
Gli orsi non potevano scendere pacificamente per procurarsi un nuovo posto per vivere perché il tiranno li avrebbe fatti uccidere sicuramente.
Re Leonzio decise, quindi, di combattere contro gli umani per prendere il loro posto e nel mentre cercare il caro Tonio.
La potenza in massa degli orsi ebbe i frutti sperati e il Granduca dovette levare le tende con il suo esercito.
Da questo momento cominciano le avventure degli Orsi in Sicilia per ritrovare il giovane Principino!
Anche le buone bestie però, vengono corrotte da lussi, soldi e abbondanza.
L'unica soluzione? Tornare alle origini, sui monti e lontano dagli uomini".


Barnabo dellle montagne

 
 
E' l'attesa. Aspettare che qualcosa cambi, aspettare che qualcosa torni come prima, aspettare…
Di questo si nutrono i personaggi di Buzzati, lo fa il tenente Drogo ne "Il deserto dei Tartari", lo fa Bàrnabo in questo racconto. Attesa che poi si rivela perfettamente inutile, improduttiva, spesso non all'altezza delle aspettative e del risultato. Eppure, questo attendismo, questo rinvio a tempi migliori, che non fa assaporare il presente, è forse l'estrema arma di difesa dell'uomo che non osa, non riesce, non ha la forza di lottare e creare il cambiamento.
Nel leggere i racconti di Buzzati, noi ci facciamo beffe dei protagonisti… ma è una beffa impaurita… perché tutti siamo vittime di questo meccanismo.. di questo anteporre le occasioni della vita allo status quo, al vediamo cosa succede ma senza uscire del guscio…
In mezzo, vi è il racconto della natura.. che va avanti senza di noi, nonostante noi… a dimostrazione che i disegni umani nulla valgono rispetto alla realtà.
 

  
 "Barnabo ama la montagna. Ama guardare il sole levarsi dalle grandi cime e vederlo tramontare dietro al Col Verde.

Ama la casa dei Marden, con le vecchie travi marcite e le finestre che non si chiudono, l'intona scrostato e le tavole nere, il tetto che stanco di contare le piogge e discutere con il vento, ha cominciato a slabbrarsi.
Ama la vita del guardaboschi, l'estremo contatto con la natura, i turni di guardia alla polveriera, le serate passate vicino al fuoco e raccontarsi vecchie storie.
Ama quell'eterno vivere nella perenne attese che arrivi qualcuno da un momento all'altro ma non arriva mai nessuno.
Intanto le cime hanno lo stesso colore delle nubi e non cambiano mai.
Ma alla fine qualcuno arriva, sono i briganti, e Barnabo non si fa trovare pronto, viene sopraffatto dalla paura pietrificato dal panico.
C'é poco a fare, quando un guardaboschi non compie il suo dovere viene rispedito a casa, non c'é posto per i codardi
Ah, se solo avesse osato, se avesse fatto fuco sui nemici. Invece la vergogna gli ha tolto ogni volontà.
Allora non gli resta che rifarsi una vita, ricominciare da capo nelle campagne.
Ma la sua testa è sempre lì sui monti, alla casa, ai suoi compagni, Barnabo non riesce a stare lontano da ciò che ama.
Ed ecco che dopo tanta attesa si ripresenta l'occasione per tornare.
E' l'attesa, la grande protagonista del romanzo di Buzzati, ed è impossibile per il lettore non immedesimarsi in Barnabo sempre in attesa di una occasione, un'evento, di qualcosa o qualcuno che trasformi la nostra vita e ci dia possibilità di riscattarci.
E noi, quando l'attesa sarà finita, saremo pronti, sapremo farci trovare pronti?
Romanzo in cui il tempo scorre lento e sornione, ma inesorabile…"
 

domenica 9 settembre 2018

Ritorno al Verosso

Sul Verosso ci ero salito a Dicembre 2015 (qui la relazione) ed in quell'occasione avevo conosciuto Max (Max64 su Hikr.org). Allora pieno inverno, anche se con sole e niente neve, oggi ancora estate, anche se con una luce ed una brezza settembrina che fanno ben sperare per un autunno all'insegna delle salite in quota prive di neve e freddo…
Arrivati a San Bernardo, insieme a Gabri e Beppe, gli altri due moschettieri del solito gruppo, si entra nel bosco e si comincia a salire in un ambiente che si fa via via sempre più bello ed aperto.

Ed è uscendo dal bosco che la luce ed il panorama invadono occhi e cuore..


Cima Camughera… salita recentemente…
Pizzo Andromia e Pian Pumpér in lontananza..
il Verosso si avvicina…



in cima...
i 4000 del Vallese…
il ghiacciaio del Leone... 
L'allegra banda… ne manca uno… vero Beppe? 
 
Due super panoramiche…


Si scende in Svizzera verso i laghetti…










Si conclude il tracciato attraversando la torbiera su questa passerella… mistica… anzi magica!

Manuale di co-programmazione