mercoledì 15 maggio 2019

il corridore


All'inizio di questo racconto c'é un uomo che si guarda allo specchio e si chiede: "sono davvero io quel vecchio lì?".
Il suo corpo non nasconde affatto il peso dei suoi sessantatré anni.
Nessuno direbbe mai che ha la stoffa del campione.
Del vincitore che non ti aspetti.
E non in uno sport qualunque, ma nell'ultra trail, una disciplina estrema che significa decine, centinaia di chilometri di corsa sui terreni e nei climi più impervi, sulle Alpi o nei deserti, Marco Olmo è stato boscaiolo e camionista, infine operaio per ventun anni in una grande cementeria della provincia piemontese.
Poi all'improvviso, è iniziata la sua straordinaria avventura di corridore.
Apparentemente un po' tardi per la sua età.
Ma Olmo viene dal "mondo dei vinti", dal mondo delle montagne, sconfitto dalla civiltà industriale.
La sua traiettoria è ben più di un eccezionale exploit sportivo, é un'occasione unica di riscatto, una vittoria profondamente umana.
E' da lì che il corridore distilla, misura lentamente la sua forza.
Marco Olmo si guarda allo specchio, si conta le rughe.
"Quel vecchio lì", magro e capace di sopportare fatiche immani, non ha intenzione di fermarsi, e già immagina la prossima gara.
"Conosco il mio corpo, e so dove mi può portare. Lontano".
Marco Olmo è nato nel 1948 ad Alba, ma è sempre vissuto a Robilante, un piccolo paese delle valli montane cuneesi; ha cominciato a correre a 27 anni, "quando gli altri smettevano".
Dopo un periodo passato a gareggiare (e a vincere) nella corsa in montagna e nello scialpinismo, all'età di quarant'anni ha iniziato ad affrontare la Marathon Des Sables (230 km), la Desert Cup (168 km), la Maratona dei 10 comandamenti, in Sinai (156 km) ed è diventato campione del Mondo a 58 anni vincendo la Ultra Trail du Mont Blanc (167 km) con oltre 21 ore di corsa. (tratto dal libro).
 

Marco Olmo non è uno qualsiasi. E' un perdente, come si definisce lui. Forse lo è, ma a modo suo, lasciando sul campo di battaglia della vita, quanto gli basta per essere ricordato.
Perché come la storia insegna, a volte non è chi vince che viene ricordato, ma chi si batte con coraggio, e questo lui lo ha sempre dimostrato. Sia nella corsa che nella vita.
Lui che arriva dalla civiltà contadina, quella che, come ricordava Nuto Revelli "a causa della civiltà industriale aveva dovuto abbandonare le valli alpine al loro destino".
Ma certe origini, ti marcano, al punto da ricorrere all'uso dell'essenziale. In tutto. Ed a fargli dire "Noi eravamo persone senza troppe storie, a cui era stato insegnato che quando devi fare una cosa, tanto vale farla al meglio.
E' una forma di rispetto che si deve prima di tutto a sé stessi".
Anche se poi è lui stesso a dover ammettere che "poi la verità è questa: la misura di ogni cosa sono i soldi, sono loro a decidere se vali o non vali, se sei qualcuno o se non sei nessuno". Una vita, la sua, fatta di riconquista, di quello che, con l'età e a fronte di una vita modesta, quasi anonima, aveva ceduto, anno dopo anno e che ora, ha voluto a tutti i costi riconquistare. Una volontà di uscire da questo anonimato, come un fiume in piena, che, come diceva Brecht "Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono".
Un uomo straordinario, a suo modo, con quella modestia tipicamente piemontese, ma che si materializza nella concretezza della cose, la corsa nel suo caso. Una storia da leggere. Un anti-eroe ed un esempio.

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