giovedì 18 giugno 2020

Tecnica del colpo di Stato - Curzio Malaparte

Uscito per la prima volta in Francia nel 1931 grazie alla mediazione di Daniel Halévy (e in Italia solo nel 1948), immediatamente commentato da Trockij, bruciato dai nazisti sulla piazza di Lipsia e costato al suo autore l'arresto e il confino a Lipari per "manifestazioni di antifascismo compiute all'estero", "Tecnica del colpo di Stato", spietata dissezione delle varie tipologie di golpe e delle loro costanti, viene subito avversato da tutti. Sta di fatto che ancor oggi lo si legge d'un fiato: non solo per l'"attualità" della sua analisi di ingegneria politica, ma soprattutto per lo stile, insieme icastico e concitato, geometrico e visionario, dove Malaparte sembra assumere le cadenze di un allievo di Tacito. Stile che risalta in tutte le sequenze su trionfi e fallimenti del golpismo classico, a partire dalla violenta "campagna di stampa" con cui Cicerone smaschera la congiura di Catilina, ma che tocca l'acme nelle ricostruzioni dei colpi di Stato dei primi decenni del secolo scorso, come nelle pagine sulla imminente rivoluzione a Pietrogrado, con le "dense nuvole nere sulle officine di Putilow" cui si contrappone la nebbia rossastra del sobborgo di Wiborg dove si nasconde Lenin. E nella parte finale spiccano, ritratti con rara vividezza, i volti e le psicologie degli autocrati a capo dei vari totalitarismi: Stalin, Mussolini e Hitler (tratto dal libro).
 
Libro potente. Senza dubbio. Testo che merita rispetto, non fosse altro che per l'accoglienza che ebbe, dal confine ed il carcere per l'autore, e per il rogo che toccò al libro da parte dei nazisti…
Che a difendere la libertà ci si rimette sempre.
E troviamo qui ancora una volta una discussione, una riflessione sugli uomini liberi… sugli intellettuali.
Forse hanno ragione tutti coloro che ancor oggi, in questa Europa libera da Hitler e da Mussolini, disprezzano e perseguitano gli uomini liberi, tentando di soffocare il sentimento della dignità personale, la libertà di coscienza, l'indipendenza di spirito, la libertà dell'arte e della letteratura.
Che ne sappiamo noi se gli intellettuali, gli scrittori, gli artisti, gli uomini liberi, non sono una razza pericolosa, perfino inutile, una razza maledetta?
Non è vero, come lamentava Jonathan Swift, che non ci si guadagna nulla a difendere la libertà.
Ci si guadagna sempre qualcosa: se non altro quella coscienza della propria schiavitù, per cui l'uomo libero si riconosce dagli altri. Poiché "il proprio dell'uomo, non è di vivere libero in libertà, ma libero in una prigione".
 
Si concentra poi, Malaparte, su una visione tecnica del colpo di Stato, cosa che per lui è meramente azione tecnica… svelando che, progetti, visioni, dottrine politiche ed economiche, sono meri fronzoli utili per agghindare il vero elemento fondante: il potere!
"I catilinari, cioè i fascisti e i comunisti. I catilinari di destra temono il pericolo del disordine: accusano il governo di debolezza, d'incapacità e d'irresponsabilità, sostengono la necessità di una ferrea organizzazione statale e di un severo controllo di tutta la vita politica, sociale ed economica.
Sono gli idolatri dello Stato, i partigiani dell'assolutismo statale. Nello Stato accentratore, autoritario, antiliberale e antidemocratico, essi fanno consistere l'unica garanzia dell'ordine e della libertà, l'unica difesa contro il pericolo comunista. "Tutto nello Stato, niente fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato" afferma Mussolini.
I catilinari di sinistra mirano alla conquista dello Stato per instaurare la dittatura della classe operaia. "Dove c'é libertà non c'é Stato" afferma Lenin"... e anche se i punti di vista divergono… l'elemento che li unisce resta sempre il potere… ma a questo punto cosa deve sapere chi vuole prendere il potere e chi vuole difenderlo?
Malaparte è lapidario: "L'arte di difendere lo Sato moderno é regolata dagli stessi principi che regolano l'arte di conquistarlo: ecco ciò che si può chiamare la formula di Bauer"...La guerra si fa per vivere, non per morire.
Su tuti i colpi di Stato, la regola tattica dei catilinari è il tagliar corto, quella dei difensori dello Stato è il guadagnar tempo.
Il Parlamento è il complice necessario, non volontario, e al tempo stesso la prima vittima del colpo di Stato bonapartista.
Bonaparte é un caposcuola: tutti i militari che, dopo di lui hanno tentato d'impadronirsi del potere civile, si sono attenuti alla regola di apparir liberali fino all'ultimo, cioè fino al momento di ricorrere alla violenza.
Dittatura non è soltanto una forma di governo, è la forma più completa della gelosia, nei suoi aspetti politici, morali e intellettuali".
 
Vi sono poi autentiche perle messe qua e la che vanno assaporate: "Ciò che Voltaire diceva ai Gesuiti: "Pour que les jésuites soient utiles, il faut les empécher d'étre nécessaire".
Sieyès ha tutto previsto e tutto disposto: ha perfino imparato a montare a cavallo, per il caso di un trionfo o di una fuga.

In realtà lo spirito di Hitler é uno spirito profondamente femminile: la sua intelligenza, le sue ambizioni, la sua volontà stessa, non hanno nulla di virile.


E' un uomo debole, che si rifugia nella brutalità per nascondere la sua mancanza di energia, le sue debolezze sorprendenti, il suo egoismo morboso, il suo orgoglio senza risorse.
Nella vita dei popoli, nelle grandi sciagure, dopo le guerre, le invasioni, le carestie, vi è sempre un uomo che esce dalla folla, che impone la sua volontà, la sua ambizione, i suoi rancori, e che "si vendica come una donna", su tutto il popolo, della libertà, della felicità e della potenza perdute".

 
Il testo si conclude con una doverosa precisazione: "La ragione di questo libro non è di discutere i programmi politici, sociali ed economici dei catilinari: bensì di mostrare che il problema della conquista e della difesa dello Stato non è un problema politico, ma tecnico, che l'arte di difendere lo Stato é regolata dagli stessi principii che regolano l'arte di conquistarlo".
Attuale, ingombrante, a tratti spassoso… impossibile non leggerlo.

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