sabato 2 gennaio 2021

Clyde Fans

Sono passati venticinque o trent'anni dalla prima volta che ho guardato nella vetrina buia dello stabile della Clyde Fans, all'angolo tra King Street e Sherbourne Street.
Si, quell'attività commerciale è veramente esistita.
Era vecchia e aveva chiuso i battenti.
All'epoca, aveva una di quelle vetrine che c'erano a Toronto, davanti alla quale si passava senza fare attenzione.
All'interno non c'era molto da vedere: un soffitto di stagno, una scrivania, un paio di telefoni a disco, due ritratti incorniciati erano appesi alla parete posteriore.
Proprio non ricordo il momento preciso in cui quei due ritratti hanno assunto una loro vita romanzesca.
Quello che avevo scoperto là dentro, e che alla fine ha sostenuto il mio interesse durante questo lungo progetto era tutto un universo.
Un piccolo mondo tranquillo, malinconico magari, ma che mi affascinava perché mi sembrava separato dalla attività frenetica del "nostro" mondo.
Un luogo interiore dove sembrava che il tempo andasse più lento.
Quando ho cominciato il libro ero convinto che fosse una normalissima storia di vita quotidiana, ma quando l'ho finito ho scoperto che riguardava il significato mistico delle cose.
La creatività è piena di sorprese.
Non ci ho lavorato sopra per vent'anni di filato.
Certo che no. L'ho fatto a spizzichi e bocconi, mentre contemplavo altri progetti, altri libri.
Nel frattempo Clyde Fans procedeva a rilento, anno dopo anno.
Oltre al ritardo, la grande sorpresa é che la storia è cambiata molto poco in questi due decenni. Si conclude con le battute pensate nel 1997.
Ora affrontiamo la questione più evidente ovvero i disegni: dal punto di vista visivo i primi capitoli sono diversi da quelli successivi. Lo stile cambia con il tempo, è inevitabile.
E così ora è finito.
Sono contento di avergli "dato la libertà".
Mi sento come Sisifo, come se avessi trovato il sistema per tenere il masso fermo in cima alla montagna. Provo un nuovo affetto per questo libro. (liberamente tratto dal libro).

Ho faticato non poco a leggere (colpa della grafica e dei caratteri minuscoli) tutti i singoli testi, a dare una continuità alla storia, forse perché legato all'idea che fumetto = immediatezza di lettura.
Non è questo il caso. Il senso va colto, insieme ai due protagonisti, mentre si aggirano tra stanze, corridoi, solai e cantine... mentre i ricordi aleggiano in ogni oggetto, persone ed episodi appartenenti al passato.
Indeciso sino all'ultimo nel cogliere la chiave di lettura, ho deciso di seguirne più d'uno, senza privilegiare nulla... certo al primo posto ho trovato l'attaccamento alla propria professione... non esiste una vita in quanto tale, esiste una percezione della stessa come propaggine e logica conseguenza del lavoro svolto, dell'azienda, del progresso (come direbbe Weber) quale motivo di esistenza stessa... segue poi il rincorrere ai ricordi, ma in particolar modo all'autoindulgenza... quella necessaria a giustificare i fallimenti, i pessimi comportamenti, le rinunce, il "sarebbe potuto andare in un altro modo"... poi vi è la claustrofobica ma rassicurante passeggiata nell'edificio, che col passare del tempo diviene sempre più simile ad un organismo... una sorta di tubo digerente, una cuccia, un intestino, una certezza rispetto al tempo esterno, rispetto alla vacuità del progredire del mondo tutto... in questo mondo interiore si dibattono i protagonisti... un quasi utero materno in cui combattere l'eterna battaglia tra il desiderio di crescere e diventare adulti e quello di restare eterni bambini... le scene, precedute dall'anno di accadimento degli eventi stessi, ci presentano l'inesorabile scorrere del tempo, il divenire vecchi, che però può, a volte, rappresentare il cambiamento... di prospettiva, di idee, di visione di se stessi prima di tutto. Un racconto certamente adulto... che i singoli fotogrammi ci regalano, in tutta la sua cruda realtà.




 

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