Che si tratti di un western (ma lo è veramente?) o di una trama moderna; cosa lo rende immediatamente fonte di curiosità e passaparola?
Proviamo ad indagare quest'ultima opera: "The hateful eight" per trarne qualche utile spunto.
Siamo nel West, ma potremmo essere quasi ovunque, tutto si svolge in una stanza e l'intorno, intonso e reso muto da una tempesta di neve, appare come una barriera che obbliga persone molto diverse tra loro a condividere un piccolo spazio.
Nessuno si fida dell'altro.
I dialoghi sono incredibilmente curati, lenti, pensati ed espressi (pur farciti di parolacce irripetibili) in modo forbito.
La violenza, esplode, ma quando lo fa, è espressa in modo banale. Non è annunciata da squilli di tromba o da annunci, arriva, si propaga, e poi cessa. Come un maroso.
Per Tarantino il mondo (almeno quello cinematografico) si divide in due parti nette e taglienti: i buoni, destinati a soccombere e sparire in un attimo e i cattivi... qui la situazione si fa complicata.
I cattivi, vero cosmo che interessa al regista e di conseguenza a noi, sono tanti e diversi.
Vi sono i cattivi privi di una logica, a loro non interessa il motivo delle loro azioni, è la strada più breve per raggiungere un obbiettivo, poco importa se causa dolore e morte, si fa e basta.
Vi sono i cattivi "saputi", quelli che del loro essere cattivi ne hanno fatto filosofia.
Per loro la violenza è una filosofia di vita. Una logica antiborghese, fatta di scuola di vita, profonda conoscenza dell'animo umano, dolore patito e visto patire, ne hanno forgiato la strada.
Per loro uccidere è semplice, ma solo se vi è una regola, se viene spiegato il motivo. Senza non vi è giustizia (una giustizia al contrario ben inteso).
Prendiamo i cacciatori di taglie di questo film, cosa li rende diversi dalle canaglie che cacciano? Nulla evidentemente. Solo il piccolo discrimine dato dal fatto che, loro eseguono gli ordini della legge (o meglio di una società che accetta il male minore, ovvero la morte del bandito in cambio di denaro).
Siamo nel West, ma potremmo essere quasi ovunque, tutto si svolge in una stanza e l'intorno, intonso e reso muto da una tempesta di neve, appare come una barriera che obbliga persone molto diverse tra loro a condividere un piccolo spazio.
Nessuno si fida dell'altro.
I dialoghi sono incredibilmente curati, lenti, pensati ed espressi (pur farciti di parolacce irripetibili) in modo forbito.
La violenza, esplode, ma quando lo fa, è espressa in modo banale. Non è annunciata da squilli di tromba o da annunci, arriva, si propaga, e poi cessa. Come un maroso.
Per Tarantino il mondo (almeno quello cinematografico) si divide in due parti nette e taglienti: i buoni, destinati a soccombere e sparire in un attimo e i cattivi... qui la situazione si fa complicata.
I cattivi, vero cosmo che interessa al regista e di conseguenza a noi, sono tanti e diversi.
Vi sono i cattivi privi di una logica, a loro non interessa il motivo delle loro azioni, è la strada più breve per raggiungere un obbiettivo, poco importa se causa dolore e morte, si fa e basta.
Vi sono i cattivi "saputi", quelli che del loro essere cattivi ne hanno fatto filosofia.
Per loro la violenza è una filosofia di vita. Una logica antiborghese, fatta di scuola di vita, profonda conoscenza dell'animo umano, dolore patito e visto patire, ne hanno forgiato la strada.
Per loro uccidere è semplice, ma solo se vi è una regola, se viene spiegato il motivo. Senza non vi è giustizia (una giustizia al contrario ben inteso).
Prendiamo i cacciatori di taglie di questo film, cosa li rende diversi dalle canaglie che cacciano? Nulla evidentemente. Solo il piccolo discrimine dato dal fatto che, loro eseguono gli ordini della legge (o meglio di una società che accetta il male minore, ovvero la morte del bandito in cambio di denaro).
Grande cura dei dettagli, grande spazio ai dialoghi, profondità e studio dell'animo umano, questi film vanno assolutamente visti, per capire quanto sia possibile indagare l'incubo e la follia dell'essere umano.
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