sabato 30 gennaio 2016

L'impostore... oppure no.

 
Javier Cercas dedica il suo ultimo libro, "L'impostore", a Enric Marco.
Forse militante antifascista, forse ex deportato nei lager nazisti, forse combattente repubblicano, ma certamente un grande, grandissimo bugiardo.
Talmente grande da essere riconosciuto dallo stesso Javier, con molti distinguo e con molta fatica, un "eroe".
Ma quale è la colpa di Marco? L'aver desiderato una vita diversa e l'aver fatto tutto il possibile per riuscirci.
Marco è quindi il bugiardo del secolo? Marco ha mentito usando la più grande tragedia del 900: l'olocausto. E questo non gli è stato perdonato. Non è perdonabile... O forse si?
Ma è così riprovevole la sua bugia? Oppure si eleva, rispetto alle montagne di bugie (mediocri e pessime e brevi) che ognuno di noi usa quotidianamente e poi abbandona simultaneamente quando non serve più come un vecchio abito?
Lui quella bugia l'ha costruita, l'ha coltivata, l'ha usata facendola propria, piegando al proprio volere la Storia e la sua storia.

 
 
Il vero problema è che quest'ultima fatica di Javier Cercas non mi convince, e la cosa mi fa arrabbiare, forse perché dall'autore di "Anatomia di un istante" e di "Soldati di Salamina", mi aspettavo molto di più.
Se metà del libro è spesa per dire e ribadire che non lo scriverà (e noi sappiamo che mente e quindi non capiamo il motivo di questo sfogo) e che poi lo scriverà ma non per giustificare (ma noi sappiamo che mente di nuovo, perché poi si capisce che un poco lo giustifica, anche se prima indirettamente facendolo dire dagli altri e poi lui stesso lo ammette), cosa è questo libro?
Un romanzo? No
Un racconto di una storia vera? Solo in parte.
Un trattato sulle bugie o qualcosa di simile? Forse.
A volerlo tradurre, questo libro assume una sola frase: delusione.
 
 
 

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