domenica 1 ottobre 2017

il futuro della modernità

Altro testo letto anni or sono e legato al mio percorso di studi... a rileggerlo a distanza di tempo, quante connessioni, quante divergenze, quante illuminazioni rispetto alla Storia... insomma, non vi è come vivere per sperimentare su se stessi certe intuizioni e verificarne la genialità o l'assoluta incongruenza...
Ma in un mondo come il nostro, che cambia alla velocità della luce, che ti rintrona, rimbomba, instupidisce di dati ed informazioni, abbiamo un terribile bisogno di intuizioni, di idee, di visioni che permettano di dare un significato al correre continuo, al macinare ore, lavori, incontri e pensieri...
"Il futuro della modernità" è uno di questi... non che dia soluzioni geniali ad eventi illeggibili, semplicemente dona spunti utili cui aggrapparsi per svelare il "dietro le quinte" dell'attuale girone dantesco... che è la società mondiale.
 
"E' ancora legittimo attribuire un futuro alla modernità? Quali sono i valori che hanno mantenuto intatta la loro validità e quali invece sono gli aspetti che si sono dimostrati deboli, e addirittura controproducenti, nel "progetto moderno"? Come è possibile riattualizzare tale progetto e avviarlo a compimento? Sono questi gli interrogativi di fondo del Futuro della Modernità.
Il risultato, come si premura di segnalare Tomàs Maldonado, non è un trattato, un'opera sistematica, ma, piuttosto una perlustrazione animata da una perfida curiosità intellettuale, di alcuni sentieri interpretativi sulla modernità.
L'autore ha privilegiato un metodo di analisi trasversale, coinvolgendo molteplici ambiti disciplinari. Il metodo si è rivelato particolarmente fecondo, in quanto ha contribuito a dischiudere stimolanti prospettive, a generare numerosi e significativi intrecci e collegamenti tra le diverse linee di riflessione. Molti degli argomenti esaminati sono di grande attualità: basta pensare alle questioni attinenti alle nuove tecnologie (nucleare, ingegneria genetica, telematica) o al dibattito sul post industriale o, ancora, a quella sulla qualità della vita e sull'ambiente.
Il che, però, non deve in alcun modo essere inteso come una rincorsa ai temi di attualità: quanto più un argomento appartiene alla cronaca, tanto maggiore è il rigore col quale l'autore si sforza di stabilirne i termini reali e di confutare le mistificazioni e i luoghi comuni.
Nel "Futuro della Modernità" si ritrova la stessa tenace fiducia nella razionalità che caratterizzava il precedente saggio di Maldonado (La speranza progettuale - 1970).
Ore si tratta però di una razionalità "aperta" sulla quale il recente dibattito epistemologico ha lasciato un'impronta, ossia una razionalità più consapevole dei propri limiti e sempre disponibile a rivedere metodi e risultati. L'autore, benché riconosca gli esiti perversi scaturiti nel passato da un razionalismo di maniera, si astiene dal relativismo e rifiuta decisamente il dilagante nichilismo, il lassismo culturale e politico a cui esso ha dato origine. Per Maldonado, è soltanto tramite l'esercizio - individuale e collettivo - di una nuova razionalità che il "progetto moderno" può essere ritualizzato e, pertanto, compiuto". (dalla quarta di copertina).
 
 
Testo del 1989 per molti versi ancora attuale... lo è quando cerca di far scaturire l'assunto che porta al concetto di progresso... e lo fa in modo lodevole (si veda pag. 186) quando ricorda il libro di Daniel Defoe del 1719, "Le avventure di Robinson Crusoe" dove la progettualità del protagonista è orientata esclusivamente alla risoluzione dei problemi di un individuo che il destino ha gettato su una spiaggia deserta... in un ambiente senza società, in cui Robinson non si chiede mai cosa sia "very useful to society" ma sempre e soltanto che cosa sia "very useful to me". Egli non progetta per altri ma solo per se stesso, la sua progettualità non rende mai tributo al sistema di valori e di norme che di solito prefigurano le modalità del progetto e le caratteristiche dell'oggetto progettato... Egli ha un solo problema: sopravvivere. il resto non è un problema. E dato che Robinson è un "risolutore di problemi" ciò che per lui non è un problema, in pratica non esiste (e dire che qualcuno ne ha dato una lettura del prototipo dell'animo borghese in un gergo fatto di cose fatte e cose da fare...). Quando decide di fabbricarsi un oggetto, non fa arte, cerca di realizzare qualcosa che risolva un problema. Non fa progettazione, usa invece l'intuizione... limitandosi a quello che ha, usando cioè occhi nuovi per nuove soluzioni...
 
A dimostrazione della singolare attualità di questo testo, mi capita tra le mani un articolo del 10 settembre a firma di Thomas Eriksen... "Local"... che così recita "Quello che è bene a livello globale può non esserlo per una comunità locale: così nasce la percezione di un mondo fuori controllo. Per uscire dalla crisi bisogna capire i "conflitti di scala". E pensare in piccolo".
 
"Viviamo in un mondo in cui la modernità ha ingranato la marcia più alta. Ha prodotto crescita e prosperità, ma anche una situazione instabile e, in ultima istanza, autodistruttiva. La crescita costante è impossibile. Si tratta di uno stallo caratteristico della nostra modernità, che rende i tradizionali concetti industriali, come progresso e sviluppo, molto più difficili da difendere di quanto non fosse anche solo una generazione fa. La perdita di un'indicazione chiara per il futuro colpisce anche le temporalità, portando ad un continuo presente, in cui sia il futuro che il passato sono offuscati e sfocati. La questione è: quale potrebbe essere un'alternativa praticabile per una società mondiale che sembra essersi blindata in un percorso destinato a terminare in un collasso?"..
 

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