C'é chi si indispettisce, come l'alchimista che all'inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama "Blu di Prussia" e si lascia alle spalle quell'incidente di percorso rimettendosi alla ricerca dell'elisir.
C'é chi si esalta, come un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole; o quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal Blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon.
E c'é chi invece, si rende conto come il giovane Heisenberg durante la sua tormentata convalescenza a Helgoland, che probabilmente il traguardo è proprio questo: smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova,
Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare.
E' la via che ha preferito Benjamìn Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna.
Ma, soprattutto, offrendoci un meraviglioso intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.
Come già descritto nella recensione di altri libri, il racconto è spesso un traliccio a cui la vite si aggrappa per crescere... il viluppo che ne emerge a volte è talmente stretto da non capire più cosa sia uno e cosa l'altro.
E' il caso di questo libro, che narra senza alcun dubbio di scienza e di uomini di scienza... ma in quanto tali (uomini) ancora più tormentati dal dubbio e dalla sete di conoscenza... ne scaturisce una sinfonia di azioni, umori e immagini che ci fanno domandare: "Quando abbiamo smesso di capire il mondo"?
Labatut ammette di aver barato, mescolando verità e finzione, ma lo scopo è evidente... riuscire a trasformare la scienza in qualcosa di attraente da un lato e facente parte del nostro mondo... il risultato non mancherà di stupire il lettore più smaliziato.
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