giovedì 6 maggio 2021

Una terra promessa

In questo libro attesissimo, Barack Obama racconta in prima persona la propria incredibile odissea, da giovane alla ricerca di un’identità a leader del mondo libero, e descrive con sorprendente ricchezza di particolari la propria educazione politica e i momenti più significativi del primo mandato della sua storica presidenza, un periodo di profonde trasformazioni e sconvolgimenti. Obama accompagna i lettori in un viaggio appassionante, dalle iniziali aspirazioni politiche fino alla decisiva vittoria nel caucus dell’Iowa – che ha dimostrato la forza dell’attivismo civile – e alla memorabile notte del 4 novembre 2008, quando è stato eletto 44° presidente degli Stati Uniti, diventando il primo afroamericano a ricoprire la più alta carica della nazione. Riflettendo sulla presidenza, Obama propone una acuta e inedita esplorazione delle grandi possibilità ma anche dei limiti del potere, e apre nuovi scorci sulle dinamiche del conflitto politico americano e della diplomazia internazionale. Ci conduce fin dentro lo Studio ovale e la Sala operativa della Casa Bianca, e poi a Mosca, Il Cairo, Pechino, e oltre. I lettori scopriranno ciò che Obama pensava mentre nominava i suoi ministri, fronteggiava la crisi finanziaria globale, si confrontava con Vladimir Putin, superava difficoltà all’apparenza insormontabili per ottenere l’approvazione della riforma sanitaria, si scontrava con i generali sulla strategia militare in Afghanistan, intraprendeva la riforma di Wall Street, rispondeva al disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, e autorizzava l’operazione Neptune’s Spear, che ha portato alla morte di Osama bin Laden. Una terra promessa è un libro straordinariamente intimo e introspettivo. È il racconto della scommessa di un uomo con la Storia, della fede di un coordinatore di comunità messa alla prova della ribalta mondiale. L’autore si esprime con franchezza sulla difficoltà di far convivere il ruolo di candidato nero alla presidenza, il peso delle aspettative di un’intera generazione mobilitata da messaggi di «speranza e cambiamento», e la necessità di essere moralmente all’altezza delle decisioni cruciali da prendere. Descrive apertamente le forze che si sono opposte a lui negli Stati Uniti e nel mondo; spiega come la vita alla Casa Bianca abbia condizionato la moglie e le figlie; non esita a rivelare dubbi e delusioni. Eppure non smette mai di credere che, all’interno del grande e ininterrotto esperimento americano, il progresso è sempre possibile. Con grande efficacia ed eleganza di stile, questo libro sottolinea la strenua convinzione di Barack Obama che la democrazia non è un dono ricevuto dall’alto, ma si fonda sull’empatia e sulla comprensione reciproca, ed è un bene da costruire insieme, giorno dopo giorno.


Sono pagine fitte fitte, quelle proposte da questa autobiografia del 44° Presidente degli Stati Uniti, nonché primo di colore, nonché Premio Nobel per la Pace, nonché tante altre cose. Un momento storico quello vissuto dagli States, cosa che faceva ben sperare, sino a che non si è manifestato il ciclone Trump... con la sua vergognosa gestione, con la altrettanto e ancor peggio conclusione, degna di un regime fascistoide... a dimostrazione che il genere umano, per quanto possa andare avanti, appena si distrae, credendosi immune a certi eventi, ci ricasca dentro in pieno... Ma leggiamoci le bellissime pagine di questo lungo testo (a cui probabilmente ne seguirà un altro) e godiamoci da vicino la politica, i suoi retroscena... viviamo direttamente sul più alto scranno del potere mondiale tutti gli avvenimenti. Ottima lettura.

"La maggior parte di questi leader manteneva il potere attraverso una vecchia formula: limitata partecipazione ed espressione politica, intimidazione pervasiva e sorveglianza da parte della polizia o dei servizi di sicurezza, un sistema giudiziario malfunzionante e insufficiente tutela del giusto processo, elezioni truccate (o inesistenti), un esercito radicato nella vita civile, una pesante censura della stampa e una corruzione inarrestabile".

"Per almeno mezzo secolo la politica statunitense in Medio Oriente si era concentrata rigorosamente sul mantenere la stabilità, evitare interruzioni ai nostri rifornimenti di petrolio e impedire a potenze nemiche (i sovietici prima, gli iraniani poi) di estendere la loro influenza. Dopo l'11 settembre, aveva avuto la priorità la lotta al terrorismo. Nel perseguire ognuno di questi obiettivi avevamo fatto degli autocrati i nostri alleati. Erano prevedibili, dopotutto, e impegnati a tenere sotto controllo la situazione, Ospitavano le nostre basi militari e collaboravano con noi nella lotta al terrorismo. E, ovviamente facevano un sacco di affari con le nostre multinazionali".

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