domenica 18 agosto 2019

Assalonne, Assalonne!

Nel gennaio del 1937, recensendo su "El Hogar" Assalonne, Assalonne! Borges scriveva: "Conosco due tipi di scrittore: l'uomo la cui prima preoccupazione sono i procedimenti verbali, e l'uomo la cui prima preoccupazione sono  le passioni e le fatiche dell'uomo.
Di solito si denigra il primo tacciandolo di "bizantinismo" o lo si esalta definendolo "artista puro".
L'altro, più fortunato, riceve gli epiteti elogiativi di "profondo", "umano", "profondamente umano" o il lusinghiero vituperio di "barbaro".
Tra i grandi romanzieri Joseph Conrad è stato forse l'ultimo cui interessavano in egual misura le tecniche del romanzo e il destino e il carattere dei personaggi.
L'ultimo fino alla straordinaria comparsa di Faulkner.
A Faulkner piace esporre il romanzo attraverso i personaggi.
Il metodo non è del tutto originale… ma Faulkner vi trasfonde una intensità quasi intollerabile.
In questo libro di Faulkner vi è un'infinita decomposizione un 'infinita e nera carnalità.
Lo scenario è lo Stato del Mississipi, gli eroi, uomini annientati dall'invidia, dall'alcol, dalla solitudine, dai morsi dell'odio.
Assalonne, Assalonne! è paragonabile a "L'urlo e il furore".
Non conosco maggior elogio di questo".
Ne noi conosciamo migliore presentazione di questa. (tratto dal libro).
  
Una saga familiare sullo sfondo della fratricida guerra tra Nord e Sud degli States. Questo sarebbe il commento su Twitter… ma, non essendo io uso a simili mezzi, posso dilungarmi in un più lungo e spero non inutile commento a questo testo, bellissimo, lungo e da leggere molto lentamente (almeno io) per capirne appieno la profondità.
E' colmo di dialoghi, interiori spesso, ed esteriori.. di raffronti, di incredibili istruzioni d'uso per fronteggiare la vita (quella di allora e probabilmente anche la nostra, perché tutto cambia, ma nulla realmente cambia mai).
Così a pagina 60 nel far comprendere l'atteggiamento del nostro principale interprete: "scegliendo e scartando, venendo a patti col suo sogno e la sua ambizione, così come bisogna fare col cavallo che porti in aperta campagna e in zona boschiva, e che controlli soltanto mediante la tua abilità di non far capire all'animale che in realtà non ne sei capace, che in realtà è lui il più forte".
Oppure a pagina 66, per descrivere il comportamento di Ellen: "scagliandosi contro la gente, la razza umana, attraverso tutte indistintamente le sue creature, fratello, nipoti carnali, nipote acquisito da lei stessa e tutti, con la cieca furia irrazionale di un serpente che muta la pelle".
Ancora a pagina 105 per descrivere il rapporto tra due persone dello stesso sesso che diverranno amici: "cosicché dovette apparire una sorgente non già di invidia, perché si invidia solo colui che non riteniamo affatto superiore a noi se non accidentalmente: e ciò che crediamo di dover possedere un giorno, con un po' più di fortuna di quanta ne abbiamo avuta finora - non di invidia, ma di disperazione, quell'acuta, sconvolgente, terribile, inguaribile disperazione dei giovani che a volte assume la forma di insulto e perfino aggressione fisica nei riguardi del suo oggetto umano".
E allora come capire, tutto ciò che ci accade? Come dare un senso? Faulkner cerca di dircelo a modo suo (vedi pagina 166): "Vedi? Ci accadono certe cose che l'intelligenza e i sensi rifiutano proprio come lo stomaco rifiuta quanto il palato ha accettato ma la digestione non può inglobare… così ero io…".
E che dire poi, per descrivere il venir meno della tensione che ci ha mosso verso un obbiettivo, sia essa buona o cattiva… ? (pagina 168): "E' questo il fatto triste, uno dei più tristi: quello stanco tedio che avvertono il cuore e lo spirito quando non hanno più bisogno di ciò al cui bisogno essi (lo spirito e il cuore) sono necessari".
Ma è solo a pagina 240 che capiamo tutto, (anche se non ancora tutto quel che realmente serve)… capiamo cioè cosa ha portato il personaggio principale ad agire come ha agito, a trattare gli altri a modo suo, a costruire ciò che ha creato: "il suo guaio era l'innocenza. Tutt'a un tratto egli scoprì non già quel che voleva fare, e doveva farlo volente o nolente, perché se non lo faceva sapeva che non avrebbe mai più potuto vivere con se stesso per il resto della sua vita, vivere con quanto tutti gli uomini e le donne morti per fare lui gli avevano lasciato dentro affinché lui a sua volta lo tramandasse, con tutti i morti in attesa e intenti a scrutare se lo faceva bene, se sistemava bene le cose…" ed ancora a pagina 250, quando Sutpen bambino viene respinto da un maggiordomo nero, dalla porta di una casa presso cui era stato mandato per consegnare un messaggio… un affronto che gli fa capire la differenza tra avere e non avere… non le cose, ma la rispettabilità "come quando la gente parla di privazione senza menzionare l'assedio, di malattia senza nominare il morbo epidemico"... e ancora un altra incredibile descrizione, quando l'architetto incaricato di costruire la casa di Sutpen fugge… oppresso da quell'ambiente, da quella casa… "ci vollero tre ore prima di comprendere che l'architetto aveva adoperato l'architettura, la fisica, per giocarli, poiché al momento critico uno ricorre sempre a ciò che meglio conosce - l'assassino all'assassinio, il ladro al furto, il bugiardo alla menzogna.. Lui l'architetto si era issato su un albero, aveva calcolato tensione e distanza e traiettoria e valicato lo spazio tra quello e l'albero più vicino, uno vuoto che nemmeno lo scoiattolo volante avrebbe potuto varcare, e di lì viaggiò d'albero in albero per mezzo miglio prima di rimettere piede a terra".
O come usare parole migliori queste, quando nel finale, il tragico incontro tra due contendenti viene così descritto: "tuo padre ha detto che quando hai abbondanza di buon odio sostanzioso non hai bisogno della speranza perché l'odio basterà a nutrirti"..
Un libro epico, unico, profondo, da leggere lentamente, magari usando la cronologia e la genealogia familiare poste in fondo al testo e utili per capirci qualcosa in più…

 
 

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