martedì 5 dicembre 2017

L'invasione degli ultracorpi

Meglio il film o il libro? Anche il questo caso il dilemma è evidente.. Se il video ha il potere di esprimere attraverso i visi degli attori, l'aumentare della paura, della stanchezza, dell'incredulità... il libro riesce con una potenza evocativa che pochi scrittori sanno esprimere, a spaventare il lettore, ad incollarlo al racconto, da cui si stacca con un sano terrore... E che dire del finale? due versioni diverse... due soluzioni che contraddicono visibilmente tra loro...
 

 
"Sarà presunzione, ma penso che nessuno meglio di uno psichiatra appassionato di fantascienza possa accompagnarvi alla prima pagina del romanzo di Jack Finney, e li lasciarvi, non prima di avervi raccomandato di recuperare un segnalibro.
Vi servirà per staccarvi ogni tanto dalla lettura, quando l'inquietudine inizierà a far presa, quando vi ritroverete con addosso un'angoscia sottile, coinvolti senza rendervene conto nella rete che pian piano avviluppa tutti i protagonisti della storia.
Nulla di clamoroso, per carità, nulla di crudo, di infernale; non vi ritroverete nemmeno quei tipici ingredienti che vi attendereste in un classico della fantascienza; nessuna astronave, nessun battaglia stellare. Nessun alieno, forse nessuno.
13 agosto 1956: Miles, medico e chirurgo generico nella piccola cittadina californiana di Santa Mira è il protagonista del romanzo; a lui ci si rivolge non solo per malattie, ma pure a chiedere consiglio, a sfogarsi, a confidare segreti e preoccupazioni, come accadeva una vola nell'ambulatorio di famiglia.
Del tutto inattesa si presenta nello studio Becky, vecchia passione mai dimenticata; chiede aiuto per una cugina che anche Miles conosce, una visita medica, ma non sa bene che cosa c'é che non va; o meglio lo sa ma è tutto assurdo; deve esserci una spiegazione razionale, oppure la donna è impazzita: é convinta che lo zio non sia veramente lo zio; cioè sia fisicamente identico allo zio, si muova come lui, ha gli stessi atteggiamenti, condivide ogni ricordo... ma non è lo zio; lo sguardo è scomparso, ma soprattutto, con un'annotazione degna della migliore psichiatria, non c'é alcuna emozione nell'uomo, c'é la finzione dell'emozione.
Piano piano altri pazienti confidano la stessa sensazione, anzi la propria angosciante constatazione: una figlia non riconosce il padre, un moglie il marito... e così via...
Entriamo e usciamo, con gli attori del racconto, dalla convinzione che l'altro non sia veramente l'altro ma un'entità estranea e malevola.
Siamo di fronte alla paranoia.
Ma come fare i conti con la comparsa di un cadavere? anzi di una "cosa" dapprima informe, poi sempre più definita sino a diventare un doppio perfettamente identico?
Presto scopriamo che le "cose" possiedono un loro ciclo vitale: nascono come semi in grandi bacelli, li ritroviamo negli scantinati di Santa Mira, dove gradualmente si evolvono, e assumono forme e sembianze di coloro che le abitano.
Un libro eccezionale nella sua modernità; la modernità della disumanizzazione, della paranoia, della impossibilità a riconoscere ed essere riconosciuti.
Una trasformazione, quella del conoscente e dell'amico trasformato che sembra tratto dall'esperienza clinica di un reparto psichiatrico, la rappresentazione più inquietante del folle, dell'alienato: al confine tra la vita e la morte, incapace di provare emozioni, solo una caricatura delle emozioni".


Nessun commento:

Posta un commento

Niente parolacce, né!

Adriano Olivetti