mercoledì 6 dicembre 2017

Morte dell'erba

"A cinquant'anni esatti dalla prima edizione, Morte dell'erba racconta una vicenda che si commenta da sé, senza morale.
Un virus proveniente dall'Asia ha distrutto i raccolti di tutto il mondo; si scatena la fuga dalle grandi città in cerca di un ultimo rifugio dove sia ancora possibile trovare da mangiare.
I due fratelli David e John Custance sono rispettivamente un agricoltore e un ingegnere: l'ideale sarebbe unire le forze, ma la violenza dilaga come un incendio e il Paese è nelle mani di bande armate, predoni e assassini.
Se l'Inghilterra brucia, persino due fratelli possono ritrovarsi su sponde opposte nella lotta per la sopravvivenza.
Questo é il tema di Christopher: antico, lineare, sempreverde, come gli ex campi coltivati non sono più.
Ma il romanzo non è solo questo. E' anzi un apologo, un racconto di portata biblica che inscena nuovamente la storia di Caino e Abele, completa di antefatto.
E in effetti il libro inizia quando i due fratelli sono ancora giovanissimi, nell'Eden privato della valle custodita da nonno Jahvé. Come il dio ebraico, anche il nonno divide e impera: così a un nipote assegna la valle, all'altro affida il destino dell'uomo di mondo
Come nel racconto del Genesi, anche in questo caso è l'uomo mite, il contadino a soccombere di fronte alla forza (e alle ragioni) del fratello mondano: forse il paradiso terrestre non è fatto per rimanere inviolato ma per essere prima o poi colonizzato; forse niente, su questa Terra, può rimanere allo stato vergine.
Il mito della fecondazione e del lavoro allude a questa tragica necessità.
A differenza di altri romanzi di fantascienza mitologici, comunque Morte dell'erba non celebra il rinnovamento della vita, né lo festeggia: anzi si industria di farci vedere quanto sangue costi.
Da questo punto di vista il romanzo è realistico, lucidamente documentario: di quella spietatezza documentaria che si può ritrovare, oltre che in certa letteratura inglese, soprattutto in quella americana, da Hemingway a Faulkner.
Toccante e stilisticamente maturo senza essere pretenzioso, un testo come questo non ci sembra sfiguri nella galleria dei racconti a fondo esistenziale del suo tempo: quei libri, cioè, che interpretano la storia del mondo come storia di lotte e sopraffazioni, di radicali violenze e di una giustizia che non può prescindere essa stessa dalla violenza e, dunque, dall'arbitrio".
 
Letto tanti anni or sono, mi aveva colpito per questa storia di fuga nel nulla, mi ricordava una serie televisiva - I sopravvissuti - e più recentemente The Walking dead.
 

Nessun commento:

Posta un commento

Niente parolacce, né!

Adriano Olivetti