Se, come afferma Jòn Kalman Stefànsson, nella postfazione di questo libro, "in letteratura nessuno è un'isola" allora è giusto chiedersi chi abbia ispirato Gunnarsson e chi a sua volta ne sia stato ispirato.
Ne trarremo legami a prima vista inaspettati... Conrad quale musa ed Hemingway quale seguace.
Ma potremmo andare oltre, pescando in quel movimento panscandinavo, capace di ispirare il pangermanesimo e diventare in seguito veicolo, neanche tanto velato del verbo nazista.
Lo dimostrano certe frequentazioni di Gunnarsson e le numerose stampe in tedesco dei suoi libri.
Ma di fondo, ovviamente, vi è altro. Qualcosa che - mia iperbole - potremmo trovare in certa letteratura americana, nei racconti dell'orrore (Frankenstein), ed in quelli di redenzione, nel riconoscere il mostro della modernità, il venire meno di un mondo secolare, quello dell'agricoltura, fatto si di stenti, ma anche di certezze e di saldi valori a fronte dell'inurbamento, dell'industrializzazione, della rapacità capitalista, contrapposta all'amore per la propria terra... facendoci ritrovare John Muir e il suo amore per la natura...
Cosa ci insegna Gunnarsson in questo canto di Natale scandinavo? Che al netto delle cose di cui ci circondiamo ogni giorno, del benessere che ci coccola e ci da certezze, l'uomo è solo. E questa sua solitudine lo obbliga a guardarsi dentro, tornando ai veri ed unici valori che contano e che lo rendono quello che è: creatura immersa nel creato.
"Il Natale può essere festeggiato in tanti modi, ma Benedikt ne ha uno tutto suo: ogni anno la prima domenica di Avvento si mette in cammino per portare in salvo le pecore smarrite tra i monti, sfuggite ai raduni autunnali delle greggi.
Nessuno osa sfidare il buio e il gelo dell'inverno islandese per accompagnarlo nella rischiosa missione, o meglio nessun uomo, perché Benedikt può sempre contare sull'aiuto dei suoi due amici più fedeli il cane Leò e il montone Roccia.
Comincia così il viaggio dell'inseparabile terzetto, la "Santa Trinità", come li chiamano in paese, attraverso l'immenso deserto bianco, contro la furia della tormenta che morde le membra e inghiotte i contorni del mondo, cancellando ogni certezza e ogni confine tra la terra e il cielo.
E' qui che Benedikt si sente al suo posto, tra i monti dove col tempo ha sepolto i suoi sogni insieme alla paura della morte e della vita, nella solitudine che è in realtà "la condizione stessa dell'esistenza", con il compito cui non può sottrarsi e he porta avanti fiducioso, costi quel che costi, per riconquistare un senso alla dimensione umana.
Nella sua semplicità evocativa, il pastore d'Islanda è il racconto di una avventura che diventa parabola universale, un gioiello poetico che si interroga sui valori essenziali dell'uomo, un inno alla comunione tra tutti gli esseri viventi.
Esce per la prima volta in Italia un classico della letteratura nordica che ha fatto il giro del mondo e sembra aver ispirato Hemingway per "il vecchio e il mare", considerato in Islanda il vero canto di Natale".
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