domenica 22 ottobre 2017

La città nella storia

Eccomi alle prese con la recensione del monumentale "La città nella Storia" di Lewis Mumford, il libro che, durante il periodo universitario, mi ha fatto innamorare dell'urbanistica e della Teoria dell'urbanistica. Diviso in tre volumi, anche per renderne più semplice la lettura in ogni dove, riassume dalle origini sino al '900 la storia degli agglomerati urbani e di conseguenza dei suoi fruitori, gli esseri umani.
"E' la città destinata a scomparire o tutto il pianeta diventerà un immenso alveare umano? I bisogni e gli impulsi che hanno spinto gli uomini a vivere nelle città possono ritrovare - a un livello ancora più alto - tutto ciò che Gerusalemme, Atene, Firenze sembravano un tempo promettere? C'é ancora la possibilità di una scelta vitale tra Necropoli e Utopia? Lewis Mumford nella sua opera La città nella storia, testo fondamentale di teoria urbanistica e al tempo stesso una delle più affascinanti e complesse ricerche della storiografia moderna, risponde a tutti questi interrogativi mettendo a profitto le risorse di una incomparabile erudizione, servendosi contemporaneamente degli strumenti della sociologia, della storiografia, dell'urbanistica, della storia dell'Arte e della filosofia".
Così recita la terza di copertina e la prefazione all'edizione in mio possesso (1987). 


 
Spulciando tra i libri, salta fuori questo articolo del 27 gennaio 1990, che ricorda la morte (a 94 anni) di Mumford... Eccone il necrologio "Era un personaggio discreto e gentile Non amava l'etichetta di urbanista né quella di storico. Aveva dedicato la sua vita allo studio e all'interpretazione della città come organismo vivente, punto di massima concentrazione dell'energia e della cultura di una comunità. Era stato un profeta scomodo, accusato di isterismo per aver previsto già negli anni '30 la crisi della città per congestione, perdita di identità, sfruttamento imposto da una economia del denaro prevalente su una economia di vita.
Anticipò di mezzo secolo i movimenti ambientalisti, introducendo i concetti di limite dello sviluppo e preconizzando la nascita di una nuova civiltà che, superando l'ordine meccanico della civiltà neotecnica, si indirizza verso un ordine capace di interagire con l'ambiente. Lo inorridivano i grandi complessi di edilizia di massa, progettati come macchine nell'indifferenza del clima circostante (Le Corbusier).
 
Insomma, un testo che, una volta letto, vi lascerà un segno indelebile.
 



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