venerdì 27 ottobre 2017

La nuova vita delle Alpi

Mi piace Enrico Camanni. Mi piacciono i suoi libri e il suo modo di raccontare la montagna... lo seguo oramai dal lontano 1985, quando fondò ALP, la Rivista della Montagna... un giornale che "spaccava" l'ingessato mondo alpino, ancora legato alla tradizione della scuola del CAI e si fece portavoce delle nuove istanze... dei nuovi modi di salire ed amare le Terre Alte... arrampicata in primis, ma poi salite non convenzionali, ecologismo, cime note e meno note...
Ci ritorno con questo libro, acquistato e letto nel 2002 (la nota in terza di copertina riporta un GROSSI 15/12/2002, certamente un auto-regalo natalizio in una delle mie fughe a Domodossola.
 
Ma veniamo al libro: "Le Alpi si trovano a un bivio: diventare una provincia della pianura, o nella migliore delle ipotesi un parco-museo a uso dei cittadini, oppure inventare e sperimentare un modello di sviluppo - occasione unica in Europa - che sappia conciliare la difesa dell'ambiente con le ragioni dell'economia, la tradizione con la modernità.
Esistono prove di umanizzazione delle Alpi a partire da 15.000 - 10.000 anni fa, quando, con il ritiro dei ghiacciai, l'uomo cominciò a frequentare le alte quote: prima cacciatore occasionale, poi pastore e contadino stanziale, il montanaro ha sviluppato in migliaia di anni, quella raffinata civiltà alpina che, in forme mutevoli e complesse, é sopravvissuta fino alla prima metà del Novecento, e anche più tardi nelle valli isolate.
Ma quando la città ha "scoperto" la montagna, la civiltà alpina è stata insidiata dalla "salita" della civiltà urbana.
Ciò che non era riuscito in 10.000 anni, alle glaciazioni, alle epidemie, alle invasioni armate, alle frane e alle valanghe, é riuscito in pochi decenni a un modello così forte e persuasivo da stravolgere il territorio e trascinare sull'orlo dell'omologazione la cultura e l'identità delle popolazioni Alpine.
Il libro propone una nuova trasformazione non regressiva anche attraverso numerosi esempi".
 
 
Insomma, non solo "chaiers de doléances" ma alternativa, proposta, progetto, dibattito... perché se molto si è perso, non tutto è perduto.
Personalmente ritengo che le montagne e le popolazioni che vi abitano (o tutti coloro che vi si vogliano trasferire) dovrebbero ricevere sovvenzioni per valorizzarne i contenuti (agricoltura, cultura, architettura, costruzione di manufatti, cibi e tradizioni, ecologia, enologia) con marchi DOC e valorizzazione per salvaguardarne un "climax" che non deve assolutamente andare perduto.
Estendere i vincoli ambientali da una parte e salvarne i residenti aumentandone il benessere è un prezzo accettabile a fronte del mantenimento di una bellezza che, come scritto da Henry David Thoreau "....non un semplice strumento per il raggiungimento di conoscenze ideali di ordine superiore, bensì oggetto ultimo della pratica filosofica, fonte di benessere e soluzione esistenziale..."

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