Innanzitutto una considerazione personale. Ho faticato ad entrare nello spirito del libro. Forse perché non sono nato, né ho vissuto in una grande città... ed ho sempre visto i grandi fenomeni, come orpelli che non mi appartenevano... La stessa militanza politica, o è arrivata troppo presto, vissuta con inesperienza... oppure in età matura, ma in un'ambiente feroce che mi ha strapazzato mica male...
L'aver vissuto in tanti posti diversi, mi ha sradicato da una realtà cittadina o da un'ambiente urbano capace di darmi un senso di appartenenza e di contestuale affezione o di cogliere il senso del cambiamento.... E' stato un bene? Chi può dirlo. Mi ha sicuramente donato un'apertura verso il prossimo, forse dettata dal non sentire mai troppo forti i legami con una tradizione che, molto spesso, è solo paura dell'altro, difesa ad oltranza di uno status quo...
Che dire di questo libro? Milano c'é e si coglie nei suo paesaggi e nei suoi cambiamenti... ma più di questo vi è una biografia, un'appartenenza politica, un percorso scolastico e di amicizia che vira nel romanzo di formazione.
Vi è mai capitato di brancolare nel buio, nel non capire... nel non sentirvi in sintonia con quanto state leggendo? Ecco, a me è successo... a pagina 248, però, ho avuto un'epifania. Leggo e rimando al concetto.
"Eravamo completamente isolati dalla neve. La porta non si apriva. Dalla finestrella bassa entrava la luce filtrata dal chiarore della neve.... Quando riuscimmo ad aprire la porta e a scavare un passaggio nella neve con la pala, non ci altro che il bianco. Smise di nevicare, il cielo si aprì: il bianco scendeva fino al lago, bianchi erano i fianchi dei monti dell'altra sponda, illeggibili i sentieri.
Forse non ci saremmo più mossi di lì. Forse valeva la pena stare davanti a tutta quella maestà dell'ultimo inverno senza fiatare. Milano era in fondo al taglio basso delle colline, era la nostra città e il nostro destino, ma da lì eravamo certi che esistevano sospensioni del tempo che erano un privilegio senza aggettivi".
Ecco, ho colto l'attimo... ho ritrovato le stesse emozioni di un altro testo: La via incantata di Albino Ferrari, un breve passaggio che mi aveva emozionato... forse perché, come frequentatore di montagne, queste sensazioni le sento mie... questo mi ha convinto a concludere il libro, ad arrivare all'ultima pagina... rimuginando e rileggendo questo breve passaggio...
"Questa è una ricognizione autobiografica ed è il racconto della città che l'ha ispirata.
Si entra nella storia degli anni Cinquanta, l'infanzia nei nuovi quartieri periferici, con le paterne "lezioni di cultura operaia", le materne divagazioni sulla magia del lavoro sartoriale, la famiglia comunista e quella cattolica, le ascendenza lombarde e quelle leccesi, le gite in tram, le gite in moto, la morte di John F. Kennedy e quella di Papa Giovanni, Rocco e i suoi fratelli, l'oratorio, il cinema, i giochi, le amicizie adolescenziali e i primi amori fra scali merci e recinti incustoditi.
E si procede con lo scatto della giovinezza, accanto l'amico maestro di vita e di visioni, sullo sfondo le grandi lotte operaie, la vitalità dei gruppi extraparlamentari, il sognante Melting Pot sociale di una generazione che voleva "occhi diversi".
A questa formazione si mescola la percezione dell'oggi, il prosciugamento della città industriale, i progetti urbanistici per una grande Milano, le trasformazioni dello skyline, il trionfo della capitale della moda e degli archistar.
Un romanzo autobiografico magistralmente scritto, lo sguardo teso della visione: la storia di una città, di una generazione".
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