sabato 6 luglio 2019

Correre nel grande vuoto

Quello di Marco Olmo per il deserto è un amore che nasce più di vent'anni fa, quando il corridore piemontese, all'epoca neppure cinquantenne, si è appena affacciato all'universo delle ultramaratone.
E' il 1996, infatti, quando Marco Olmo riceve la proposta di partecipare alla Marathon des Sables, nel deserto del Sahara.
Marco ha già visto il deserto, ma come turista dal finestrino di un'auto e con l'aria condizionata accesa.
Ora invece ha l'opportunità di stare là fuori, a correre come già corre fra le montagne di Robilante, il paesino dove vive.
Quella Marathon des Sables è un successo, nella classifica generale si posiziona terzo, facendosi notare dal pubblico e dalla stampa internazionale, e il deserto gli entra dentro, cambiando il suo modo di correre.
E' da quel momento, infatti, che la sua specialità diventa la lunga distanza da affrontare prima di tutto con una qualità che diventerà la sua cifra: la resistenza.
In questo libro, Marco Olmo ripercorre oltre due decenni di gare nei deserti di tutto il mondo: da quello  libico al deserto della Giordania, dalla terribile Valle della Morte in California fino alle zone desertiche dell'Islanda, passando per il deserto di sale della Bolivia, il Sinai e molti altri.
Non si possono lasciare tracce nel deserto, Marco lo ha imparato in questi anni: una sola raffica di vento è sufficiente a farle scomparire dalla sabbia.
Eppure ogni deserto ha lasciato in lui una traccia incancellabile, alimentando quell'amore di cui sono impregnate le pagine di questo racconto. (tratto dal libro).

 

Dopo aver letto "il corridore" e "il miglior tempo" concludo la trilogia biografica di Marco Olmo, un corridore famoso soprattutto per aver unito due fattori tra loro spesso inconciliabili (o forse no) età e resistenza... anni e lunga distanza, a dimostrazione che volere è potere.
Questo libro non è altro che un tributo dello stesso Olmo nei confronti del deserto… luogo per lui di ispirazione e di crescita. E' li, infatti nell'assoluto silenzio e nell'assenza di quella importuna moltitudine (forse non a caso Olmo è piemontese, della peggior specie) che si misura, con sé stesso prima di tutto, trovando il suo equilibrio e la forza che lo renderà famoso quale atleta.
Niente di ché, intendiamoci, Olmo non è un grande scrittore e chi lo ha aiutato in questo testo (forse per volontà dello stesso atleta) non è riuscito ad aggiungere nulla di particolarmente vibrante. Resta comunque un libro piacevole che parla di sport, ma anche di rivincita, voglia di riscatto e curiosità verso il prossimo.

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