A venticinque anni, nel 1934, Simone Weil scrisse queste "Riflessioni", vero talismano che dovrebbe proteggere chiunque é costretto ad attraversare l'immenso ammasso di menzogne che circonda la parola "società".
Come sempre nelle parole più ovvie, in essa si cela una realtà segreta e imponente che agisce su di noi anche là dove nessuno la riconosce.
La Weil è stata la prima a dire con perfetta chiarezza che l'uomo si è emancipato dalla servitù della natura solo per sottomettersi a un'oppressione ancora più oscura, ancora più capricciosa e incontrollabile: quella esercitata dalla società stessa.
Da questa intuizione centrale si diparte, con cristallina virtù argomentativa, una sequenza di ragionamenti che svelano nei meccanismi del potere come in quelli della produzione e dello scambio altrettanti volti di una stessa idolatria.
Scritto quando Hitler era al potere da pochi mesi e quando Stalin era venerato da gran parte della intelligencija come "piccolo padre" di una nuova umanità, questo testo non ha un attimo di incertezza nel delineare l'orrore di qquel presente.
Ma, come sempre nella Weil, lo sguardo é così preciso proprio perché va al di là del presente e percepisce un'immagine inscalfibile del bene, in rapporto alla quale giudica il mondo.
E' uno sguardo che ci induce a sfuggire al contagio della follia e della vertigine collettiva tornando a stringere per conto proprio al di sopra dell'idolo sociale, il patto originario dello spirito con l'universo.
Un testo da leggere e rileggere… anche perché non semplice. Illuminante, tale da farsi faro nella nebbia delle idee di politica, società, futuro di molti di noi (io per primo).
La Weil è scomoda. Poche storie. Ma se si vuol fare lo sforzo di ascoltarla se ne uscirà cambiati. Maturi e diversi. Provare per credere.
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