Premetto che sarò lunga.
L’unica cosa che prende forma
in questo film non è certo l’acqua, quanto l’irrefrenabile desiderio del
regista di servirci un fritto misto (uomo
pesce/fritto misto… ha-ha-ha) davvero sconsigliabile se non volete rigirarvi
nel letto ripensando a quanto avreste speso meglio i soldi del biglietto e del
popcorn andando, magari, al bowling.
Ma poiché – si sa – film del genere vengono spesso premiati, eccoci qui a parlarne.
L’aroma dell’indigesta paella
(Del Toro è nato in Messico, non in Spagna, ma passatemela) si avverte fin
dalle prime scene… ambientazione artificiosa (siamo a Baltimora o a Gotham
City?), citazioni colte (Carmen Miranda che canta Chica Chica Boom), tocchi
d’autore (uova che bollono, autoerotismo in vasca da bagno) ed elementi strani
per forza (una fabbrica di cioccolato che ti va in fiamme a qualche cento metri
da casa, ma chi se ne frega) vengono scodellati tutti insieme nei primi tre
minuti, quasi che Del Toro, novello oste di Trastevere, abbia bisogno di
liberare in fretta il tavolo per la comitiva che arriverà al secondo
spettacolo.
E poteva
forse mancare l’acuta analisi sociologica? Certo che no. Quindi ce la dobbiamo
vedere anche con l’amico/vicino di casa gay (che da Friends in poi non manca mai), la guerra fredda e le contraddizioni
della società americana anni ’60… tanto che quasi dimentichiamo il motivo per
cui siamo in sala, e cioè quella Creatura che ci aveva magnetizzati guardando i
trailer e alla quale il nostro Guillermo riserva invece un’entrata in scena
così modesta e repentina da far crollare in un istante tutte le nostre
certezze… ma non era una storia d’amore?
ma non era un fantasy? No, è il solito "pacco" e
ci siamo cascati ancora una volta.
Del
Toro non è nuovo a produzioni del genere, ma se film come Mimic o Hell Boy possono
anche piacere, il rischio che la cena vi rimanga sullo stomaco è sempre in
agguato.
La spina del diavolo, Il labirinto del fauno… meglio
affrontarli con un paio di bustine di Gaviscon a portata di mano.
E
anche se questo non è proprio un caso da pompierini bianchi, viene da chiedersi
perché mai turbare quella che poteva essere una bella storia d’amore (forse non
proprio originale, ma pazienza) con parolacce, battute discutibili, sesso
esplicito e così via. Perché di perle, in quest’ostrica mal riuscita, se ne
contano parecchie. Non cito alla lettera (perdonatemi, la mia memoria non è più
quella di una volta), ma frasi come “Se
potessi tornare a quando avevo diciott’anni consiglierei a me stesso di avere
più cura dei denti e scopare di più” – “Penso
che un vero uomo debba lavarsi le mani solo una volta quando và a pisciare, o
prima o dopo” – “Ma tu sei un dio”
mi fanno pensare che se questo film dovesse vincere un Oscar è perché a
Hollywood ultimamente sono tutti un po' frastornati per ben noti motivi.
Come mi fa pensare il fatto che se decidessi di allagare il bagno di casa mia per sollazzarmi con Namor o l'uomo di Atlantide le spese dell'idraulico andrebbero ben oltre il budget di questo presunto capolavoro... quindi o le donne delle pulizie negli anni '60 guadagnavano una cifra o questo film è uno spot occulto per le assicurazioni sulla casa.
Ma passiamo oltre, il punto è un altro.
Come
sostengo da sempre in questi miei outing cinematografici, scelta una strada,
seguila. La coerenza ci salverà, non il guazzabuglio. Una storia alla volta o
nessuna storia. Love story, spy story, fantasy story e chi più story ha più ne
metta non può funzionare. Certi cocktail di amore/dramma/sesso/grottesco meglio
lasciarli a barman esperti tipo Almodovar piuttosto che propinarli al bancone
del circolino.
Questo
film non è, come ho letto da qualche parte, una riflessione ecologista, perché
il rapporto tra i due esseri di mondi diversi (Elisa e l’Anfibio) viene sopraffatto
dalla smania di Del Toro per tutto quant’altro possa colpire – sviandoli – la
vista e l’udito dello spettatore, e non è nemmeno una riflessione socio-storica;
semmai una sequela di luoghi comuni (la solitudine del “diverso”, la cecità
della scienza piegata ai poteri forti, la perfetta e bacata famigliola
americana, gli status symbol, i russi cattivi) che lasciano in bocca un sapore
pre-masticato davvero sgradevole. Così come non bastano gli strabilianti effetti
speciali della Creatura a toglierci dalla mente la sensazione di aver assistito
ad una furbata in grande stile (leggi presa
per il culo) in cui viene da chiedersi se forse il precipitare delle
condizioni di salute dell’Anfibio sul finale non sia dovuto al fatto che il
bagno in cui viene ospitato avrebbe proprio bisogno di una bella pulita.
E
poi… dove ho già visto quel finale?... ah, sì, Splash – Una sirena a Manhattan.
Questo post è un contributo di
Ezia, ospite del mio blog.
Nessun commento:
Posta un commento
Niente parolacce, né!