Questo libro non è un noir su un delitto di mafia e nemmeno il canto a lutto per la morte di un uomo.
Di Giuseppe Fava, delle ragioni per cui la mafia volle colpirlo, dell'infinito e miserabile reticolo di silenzi, compiacenze e connivenze che protesse i suoi assassini, molto è stato scritto.
Poco, invece, é stato scritto su quel gruppo di carusi che nello spazio di una notte si ritrovarono subito adulti, invecchiati, con lo sguardo finito, l'innocenza smarrita.
Quella morte mai abbastanza annunciata fu la fine della nostra giovinezza, senza più alibi, senza rinvii.
Non avevamo avuto il tempo di essere preparati, ci sentivamo stolti e felici, spavaldi e immortali, eravamo Patroclo, Achille, Ettore, eravamo ancora tutte le vite che avremmo potuto vivere e poi, di colpo, ci scoprimmo orfani che dovevano crescere in fretta, soldati anche noi, reclute sbandate al primo scontro con il nemico.
Eravamo stati inconsapevoli: dunque colpevoli.
Questo libro, scritto a quattro mani, racconta quei giorni, quei ragazzi e l'uomo che li tenne a battesimo nella vita.
E' un racconto che non vuole rivelare fatti, nomi o segreti, ma che ricostruisce il filo dei dettagli che si erano perduti le risate di petto di Giuseppe Fava, le sue improbabili partite a pallone, la sua idea sfacciata e rigorosa di giornalismo, la nostra idea scapigliata di quel mestiere, fino all'irrompere della morte, ai pensieri e ai gesti che si fanno improvvisamente adulti, densi, necessari.
Proprio come accade ai piccoli maestri di Luigi Meneghello, quando una guerra non cercata li catapultò dai salotti di casa ai sentieri di montagna.
Perché anche questa é stata una guerra. E non si é ancora conclusa. (tratto dal libro).
Questo libro vuole ricordare Giuseppe Fava, il giornalista e l'uomo.
Colui che ha combattuto, attraverso le pagine del suo giornale "il Giornale del Sud" prima e "I Siciliani" poi, la Mafia siciliana.
Il libro, scritto a più mani, dai "carusi" che gli sono sopravvissuti e hanno portato avanti (a modo loro) la sua battaglia, è scritto veramente bene. Senza astio, senza rancore, ma con la certezza di aver fatto bene tutto, sino all'ultima azione.
"Con gli anni ho cominciato a pensare che avessero ragione loro, che bisogna essere parsimoniosi quando ci si guarda negli occhi perché le cose che corrono in quell'istante sono sempre parole serie, dettagli da non dimenticare, stipule di verità".
"Forse non ha paura perché la paura è sempre attesa di qualcosa, e lui corre davanti al proprio destino".
E' il testamento di Giuseppe Fava, ma è anche la speranza di poter cambiare...
"In poche righe tutto il concentrato di demagogia che coltiviamo: l'idea - stupida sempre, e specialmente in Sicilia - che la gente sia buona e i politici cattivi. L'ottusa speranza che il cambiamento venga solo dai giudici, in virtù di un presunto mandato del popolo".
"Alcuni uomini hanno più energia di altri, infinitamente di più, e indirizzano questa forza nella direzione che più amano, che sia l'arte, o il potere, o la politica, o il lavoro.
Opporre a questi uomini le leggi e un astratto giudizio morale è inutile, perché essi vedono tutto in funzione dei propri obbiettivi, e sono pronti a violare, aggirare o estendere le regole a proprio vantaggio".
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