Fa quasi tenerezza, leggere i pensieri di Ueli Steck. La sua semplicità, la sua solarità, il suo amore per ciò che faceva, per le sue montagne. Vedere come, a fronte di un uomo dal fisico eccezionale, ci sia poi l'aspetto umano, la paura della morte, la difficoltà a metabolizzare il rischio, la morte, ad accettarla come compagna di viaggio. E nel contempo, quel "passo successivo", quell'andare a vedere, che spesso è costato la morte (ai suoi compagni e in ultima battuta anche a lui), quell'irrefrenabile richiamo che lo spingeva a tentare l'impossibile, armato solo della sua esperienza e della forza del suo corpo.
Come ha detto Roberto Bosch, suo amico e fotografo, nel ricordarlo: "Ueli è morto felice. Sulle sue montagne e facendo ciò che più amava".
Dalla solitaria incredibile sull'Annapurna, alla concatenazione in 62 giorni (con pause e relax) di tutti i 4000 europei (82 summit), alla salita sul Nuptse, al record di velocità sulla nord dell'Eiger, abbiamo di fronte un uomo incredibile, l'alpinista più forte degli ultimi anni.... leggendo le sue storie (che fan girar la testa dalla serie di imprese e dal fisico capace di reggere sequenze di performance uniche) si vede la passione, la gioia, l'amore per le Terre Alte... Grande Ueli Steck. Davvero.
"Ueli Steck, soprannominato "Swiss Machine", è morto in Himalaya il 30 Aprile 2017 all'età di quarantuno anni.
Fuoriclasse dell'alpinismo contemporaneo, fatto di velocità e free soloing, si stava allenando per compiere la traversata Everest - Lhotse, da solo e nel più puro stile alpino.
Ogni sua impresa era preceduta da una preparazione meticolosa, e niente lasciava Ueli Steck soddisfatto come l'aver saputo valutare al meglio il pericolo.
Quando il 17 novembre 2015 stabilì un incredibile record di velocità salendo la Nord dell'Eiger in due ore e ventidue minuti, disse che più del record era felice per non essersi "mai trovato in situazioni di rischio".
Ma Steck era anche consapevole del fatto che "non importa quanto si è preparati, quando si va in montagna, c'é sempre la possibilità che succeda qualcosa, e forse è proprio questo aspetto che rende l'alpinismo tanto affascinante".
Ne "il passo successivo", Steck riflette con straordinaria onestà intellettuale sulle ragioni profonde che lo hanno portato a tentare avventure impossibili, come la salita in ventotto ore della parete sud dell'Annapurna, e alle sensazioni che hanno seguito il suo successo: euforia, certamente, ma anche un senso di vuoto, di solitudine, di paura a posteriori.
Emozioni che però ha sempre superato per andare incontro a nuove sfide.
Perché questa era la sua passione e la sua natura.
E per questo sarà ricordato".
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