venerdì 22 marzo 2013

La Madre






La paura, come il Diavolo, si nasconde nei dettagli.

Un’ombra percepita con la coda dell’occhio, l’anta socchiusa di un armadio, un rumore non familiare all’interno della nostra stessa casa…

Il cinema questo lo sa assai bene: appena il mostro esce dall’ombra e si rivela nella propria totalità, cessa di essere tale.
E’ qui che la storia deve fare un salto di qualità per continuare a tenere in pugno il cuore (e lo stomaco) dello spettatore, altrimenti la noia – o peggio il ridicolo – sono dietro l’angolo.

La Madre esordisce in modo intrigante con tinte cupe e fredde che non sono solo quelle della stagione invernale, ma anche quelle ben più raggelanti dell’attuale congiuntura socio-economica.

Si prosegue con una piega della vicenda che crea le basi per classiche situazioni de paura. Qualche buona invenzione visiva non manca, seppur con molti, forse troppi, debiti verso l’horror giapponese ed il filone “pediatrico” (voi non ne avete abbastanza dei disegnini a pastello utilizzati per rendere inquietanti i titoli di testa? Io sì, ma vabbe’).

Giunti in vista del traguardo, con l’inevitabile epifania dello spettro, il regista Andres Muschietti compie il salto di cui sopra… ma lo fa verso il melodramma natalizio.
E non aggiungo altro.

Dimostrazione di come si possa rovinare un buon film anche nel finale e con l’uso eccessivo degli effetti digitali, La Madre vi farà rimpiangere il costo del biglietto soprattutto per un motivo: ma dico io, con quel popo’ di premessa pessimista e di sviluppo iper-realistico, perché cavolo non avere il coraggio delle proprie azioni fino in fondo?!
Certe storie non devono finire bene per forza. Punto. Mica siamo a Disneyland!
Inoltre, con tutte le concessioni fatte alla sceneggiatura in novanta minuti (prima fra tutte la sopravvivenza delle piccole abbandonate) venire presi per il culo negli ultimi dieci non è bello.

Riflessione finale: se rimango per cinque anni da sola in un bosco, mi garantite che dopo vengo affidata ad uno zio come Lucas/Nikolaj Coster-Waldau?
Sì?
… a me la capanna!!!



Questo post è un contributo di Ezia, ospite del mio Blog.

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