giovedì 12 aprile 2018

Prima dell'alba

Suggeritomi da Alessio, questo libro mi è piaciuto da subito, l'incrocio tra due tempi storici (la Prima Guerra Mondiale e il periodo fascista, quindi tra 1915 e 1931) con due storie che si dipanano parallele, sino ad incrociarsi in un fosco destino, ben si intercalano tra loro, senza fare una grinza.
L'idea regge, così come il colpo di scena finale, per noi abbastanza intuibile, meno per il nostro ispettore Malossi, che però, sa essere uomo di mondo sia di fronte al potere che alle ragioni del cuore.
 
Un testo che ci riserva pagine scritte con estrema grazia: "Ma il Vecio sa che per molti, per lui di sicuro, è più che altro una recita, un ruolo da interpretare: li portano via dal sanguinaccio (il fronte) in una città, e allora bisogna andare a puttane. E invece è capitato loro qualcosa di simile agli attrezzi da lavoro. C'é un usura naturale, per così dire buona, che li logora poco alla volta, smussa le lame, consuma gli spigoli, allenta le giunture. Nella vita bisognerebbe passare attraverso questa usura, invecchiare stancandosi delle cosa un po' alla volta, scoprendosi via via inadatti all'esistere, ma per gradi, come una falce che a forza di guzate e di sbeccature contro le pietre nascoste si è negli anni accorciata e ristretta".
 
"Al Vecio, non ci riusciva proprio di odiare il Generale come avrebbe dovuto, anche perché la sua faccia gli ricordava qualcosa o qualcuno... Alla fine, gli era venuto in mente: gli ricordava il norcino che ogni inverno veniva nell'aia a scannare il maiale. Visto che il maiale bisogna scannarlo, il lavoro va fatto bene, con serietà. Però il maiale non è imbecille, e capisce che stai per farne salami, e grida che pare un cristiano. E poi le donne si sono affezionate a quel grugno rosa a cui portavano gli avanzi ogni giorno, per farlo ingrassare bene, e piangono per la perdita necessaria, e anche gli uomini si mordono i baffi, seri.
E quindi il norcino fa un'espressione quasi triste e di circostanza, si guarda attorno facendo capire che quello che fa è necessario, ed è per il bene di tutti, e che, in fin dei conti, se il maiale é maiale, allora va da sé che prima o poi vada scannato".
 


"Alle 6,30 de 27 febbraio 1931 il trillo violento del duplex manda all'aria uno dei sogni più belli, con tanto di fiammante Fiat 521 Coupé, fatti dall'ispettore Ottaviano Malossi, 32 anni, sposato da cinque, ufficiale della Polizia di Stato nella questura centrale di Firenze.
Dall'altro capo del telefono, il collega Vannucci gli dice che è atteso alla stazione dagli agenti della Ferroviaria con una certa urgenza, visto che c'é di mezzo un morto.
Il tempo di trangugiare l'orzo riscaldato dalla sera prima nel buio del cucinino, salutare la moglie, inforcare la bicicletta che Malossi si ritrova al cospetto degli agenti e poi su un treno diretto a Calenzano dove, riversi sulla massicciata, sul lato esterno della linea che scende da Prato, giace il cadavere del morto in questione.
Vestito in maniera seria ed elegante, il morto porta i chiari segni di una caduta: tracce di polvere biancastra sulla schiena, uno strappo alla cucitura della manica sinistra, un altro strappo all'altezza del ginocchio destro.
Il volto è quello di un uomo anziano e ben curato, capigliatura candida, pizzo lungo e folto.
Gli uomini accorsi per primi sul posto lo guardano con un'espressione di timore mista a reverenza.
Nel sole accecante del mattino Malossi non tarda a scoprire il perché.
Le tessere della Milizia Volontaria e del PNF contenute nel portafoglio del morto mostrano generalità da far tremare i polsi: Graziani Andrea, nato a Bardolino di Verona, il 15 luglio 1864, luogotenente Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Un caso spinoso, dunque, per cui bisogna fare presto, trovare i colpevoli, se ve ne sono, ma soprattutto consegnare quanto prima il corpo dell'eroe agli onori che la Patria vuole tributargli.
Resta da chiarire, però, come Graziani sia finito riverso al suolo sulla scarpata opposta a quella della marcia del treno su cui viaggiava: si è suicidato, spiccando letteralmente un balzo fuori dal portello, oppure qualcuno, prima dell'alba, lo ha spinto con violenza giù dal convoglio?
Malossi inizia a scavare con prudenza, tra resistenze, false piste e pressioni dall'alto, in un viaggio alla ricerca della verità che, dai binari della linea Prato - Firenze, lo condurrà lontano nel tempo, fino all'ottobre del 1917, sulle tracce di un fante italiano, testimone silenzioso del disastro di Caporetto e, prima ancora, di una vita di trincea resa intollerabile dai massacri e dal rigore insensato di una gerarchia pronta a far pagare con la fucilazione anche la più banale infrazione del regolamento.
Nel centenario della "disfatta" di Caporetto, Paolo Malaguti compone un impeccabile romanzo che getta una luce nuova sulle scelte, di memoria e celebrazione, di oblio e censura, fatte dall'Italia "vittoriosa" attorno al mito della Grande Guerra e al destino dei troppi caduti di quella inutile strage che, a parere di molti, segnò la vera fine della civiltà europea".
 

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