"Dentro il problema di una serie di crimini che per ufficio, per professione, si sentiva tenuto a risolvere, ad assicurarne l'autore alla legge se non alla giustizia, un altro ne era insorto, sommamente criminale nella specie, come crimine contemplato nei principi fondamentali dello Stato, ma da risolvere al di fuori del suo ufficio, contro il suo ufficio.
In pratica, si trattava di difendere lo Stato contro coloro che lo rappresentavano, che lo detenevano.
Lo Stato detenuto. E bisognava liberalro.
Ma era in detenzione anche lui: non poteva che tentare di aprire una crepa nel muro.
In un paese del tutto immaginario, che tuttavia ricorda molto da vicino l'Italia, la Sicilia, si svolge questa "parodia".
In un clima dove principi e ideologie non valgono più nulla, quello che doveva essere un "divertimento" diviene un racconto molto serio via via che si susseguono assassini e funerali.
Dalla vicenda di un tale accusato di tentato uxoricidio per una serie di indizi che paiono predisposti proprio dalla moglie si dipana la storia di un uomo che ammazza giudici e del poliziotto che lo cerca.
Il Contesto, descritto con sobrietà e veridicità, è quello delle connivenze che legano gli uomini al potere e il vero anonimo protagonista del romanzo è quel potere appunto che "sempre più digrada nella impenetrabile forma di una concatenazione che approssimativamente possiamo dire mafiosa". (tratto dal libro).
No, non mi ha entusiasmato come "Il giorno della Civetta"... meno realtà e più spazio alla fantasia... peccato, perché le idee ci sono, gli spunti pure... ma manca il sale del racconto... anche se, qualche guizzo emerge, a dimostrare che Sciascia ci sa fare.
Come quando, a pagina 24 fa dire all'ispettore Rojac "Sono qui soltanto per un piccolo controllo; e sarà senz'altro inutile, ma nel nostro lavoro, per andare avanti è necessario sgomberare il terreno delle cose superflue, delle cose inutili; se no finisce che te le ritrovi tra i piedi, quando meno te le aspetti..."
Oppure, sempre lui, a pagina 37 così descrive un'indagine: "Un fatto è un sacco vuoto. Bisogna metterci dentro l'uomo, la persona, il personaggio perché stia su".
Ma ecco il colpo di teatro a pagina 87, quando a parlare è il Ministro della Giustizia... "Si dimentica presto l'innumerevole moltitudine di coloro che muoiono nelle guerre. Non soltanto perché quei morti appartengono a una inevitabile fatalità, ma anche perché sono stati in condizione di dare la morte ai loro nemici e di non cadere senza essersi difesi.
Là dove il pericolo e il vantaggio sono alla pari, cessa il doloroso stupore e persino la pietà si affievolisce; ma se un padre di famiglia innocente è caduto nelle mani dell'errore, o della passione, o del fanatismo; se l'accusato non ha altra difesa che la propria virtù, se gli arbitri della sua vita non corrono altro rischio, facendolo sgozzare, che quello di sbagliarsi; se possono impunemente uccidere con una sentenza: allora la loro voce si leva, ognuno teme per sé stesso.... L'errore giudiziario non esiste... una volta espresso il giudizio, non esiste".
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