Fedele al sottotitolo postmoderno, che apre la pagina di questo blog, ho provato a scrivere un racconto di montagna in modo diverso dal solito. Lo faccio con uno spunto riscontrato sulla recensione di un libro di prossima pubblicazione, ove si afferma che "è sempre molto difficile essere reali quando si racconta la realtà".
E' difficile innanzitutto nei propri confronti. La mente è una brutta bestia. Non vuole deluderci e riesce così a farci ricordare ciò che ci valorizza, dimenticando, banalizzando o semplicemente nascondendo sotto il tappeto della memoria ciò che provoca disagio, dispiacere, o semplicemente non ci rende (dal nostro punto di vista) adeguata giustizia.
Ancora più banalmente, la stessa vicenda verrà ricordata, raccontata e vissuta in modi totalmente diversi a seconda dell'interlocutore.
Prendiamo il caso di questa gita autunnale all'Alpe Veglia.
Racconto numero 1: E' quello pubblicato sul sito Hikr.org spazio dedicato all'alpinismo, alle cime, a chi, come me, ha questa passione. Qui la retorica alpina appare fuori luogo. Descrizione del percorso, della meteo, delle difficoltà e di come superarle, dell'esito della gita. Suggerimenti tecnici, a volte pensieri personali (pochi).
Racconto n. 2 - Facebook: Questo è uno spazio di non addetti ai lavori. E' il bar, il posto di lavoro, il luogo del cazzeggio… qui molti guardano le foto, altri vogliono solo sapere dove sei andato, altri hanno una scusa per divagare o per salutarti... che stai a raccontare? Occorre sintesi, oppure una piccola poesia? (troppo sdolcinato), oppure descrivi il senso del bello… insomma, mica facile lasciarsi andare… almeno per me.
Racconto n. 3 - Questo blog: Qui le cose si fanno complicate. Il racconto è filtrato dalle sensazioni. Quindi non troverete mai la verità, troverete la mia verità, quella che emerge dall'aver goduto appieno delle aspettative oppure delle delusioni… verità che saranno di conforto a quanto visto e sentito. Viene quindi da chiedersi ancora una volta: esistono fatti? no. Esistono interpretazioni. In ossequio a Nietzsche ed al pensiero post moderno. Non è un caso che la fenomenologia, l'affermare che i fatti accadono in nostra assenza mentre noi ne diamo conto alla nostra mente, in un rimando continuo per niente semplice e per nulla scontato, con il risultato di ottenerne mere interpretazioni, non è cosa priva di fondamento.
Arriviamo alla gita di sabato scorso. Cosa ho realmente vissuto? un momento di relax? un momento di sport? una fuga dal quotidiano? l'essere insieme a chi voglio bene? A seconda dei casi, tutte queste cose insieme… e poi ancora, il colmare il desiderio di scoprire cose nuove, la necessità di confermare certezze (la montagna, l'autunno, la forma fisica, la passione per la vita all'aria aperta)… e potrei continuare così per ancora molte righe.
Domanda. Ma dove andiamo a parare? Una bella giornata lo è anche in nostra assenza. Sta a noi riempirla. il come ed il perché è tutto a nostro carico. Un suggerimento? Non esageriamo mai con le aspettative… quelle fregano.
Sarebbe oltremodo ingiusto, dopo questo pippotto, non parlare della gita fatta. Poche ore in cui mi sono sentito in pace con me stesso e con il mondo, immerso in un ambiente che adoro. Lascio a voi ed alle immagini proposte ogni commento. Mi limito a donarvi questa passione sperando di tirarvi dalla mia parte.
Ad esempio: la maestosità della montagna di fronte alla piccolezza dell'azione umana. Riesco a farla cogliere con questa foto? Spero di si.
Cosa è un bivacco, se non un riparo in un ambiente ostile, un piccolo spazio chiuso, quasi materno, ove rifugiarsi? Non è forse un ritorno al grembo originario di tutto? Alla culla? Non è la certezza (piccola) di fronte all'immenso... certo meno storto sarebbe meglio :)
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