Quando si dice non giudicare un libro dalla copertina.
Il titolo italiano è fuorviante: gli unici orrori della vicenda sono quelli nascosti nelle pieghe dell’animo del protagonista – non pochi, in verità: padre violento, omicidio di un coetaneo, elettroshock, alcolismo, morte della figlioletta. Molto più significativo il titolo originale, The Grove (Il Bosco), quasi ad intendere che le selve oscure nelle quali è meglio non addentrarsi, pena fare brutti incontri, sono quelle dell’inconscio.
Discutibile che si tratti di un mystery. La personale corsa verso il baratro di Dexter McCray incrocia per caso la vicenda dell’ormai dipartita Jessica. Nulla di misterioso nelle loro storie, anzi, un senso di già visto: lui, passato al tritacarne dalla vita, ne ha avute più di quante possa sopportare; lei, teenager dall’esistenza banale, vittima di una morte che lo è altrettanto.
John Rector scrive bene, è fuor di dubbio, ma perché ammantare un semplice racconto (psicologico sì) di tensione e horror che proprio non possiede? Meglio essere sinceri, con i lettori soprattutto.
E i cadaveri in decomposizione parlanti lasciamoli a Stephen King, che è meglio.
Questo post è un contributo di Ezia, ospite del mio Blog.
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