Questo romanzo è la storia della lunga
vita di due gemelli identici. Lewis e Benjamin Jones per ottant’anni mangiano
lo stesso cibo, indossano gli stessi vestiti, dormono nello stesso letto,
roteano l’ascia con lo stesso gesto. Vivono in una fattoria chiamata «La
Visione», posta sulla linea che separa il Galles dall’Inghilterra, in una
natura aspra e scarsamente abitata. Se osservata da vicino, la loro esistenza è
folta di avvenimenti, spesso crudeli e violenti, ma tutto si svolge entro un
raggio di dieci miglia dalla fattoria. I due gemelli non possono abbandonare
quella casa e quei luoghi come non potrebbero separarsi fra loro. Un cerchio
magico stringe le loro vite, e all’interno di esso si ripercuotono, in un’eco
stravolta, gli eventi del mondo. Tutto ciò che viene da fuori – siano le due
guerre mondiali o anche i nomi di Buddha o di Gheddafi – appare come sulle
lastre di una arcaica lanterna magica. All’«era moderna», di cui talvolta
percepiscono i segni, Lewis e Benjamin volgono testardamente le spalle. Chiusi
in una loro primordiale innocenza, legati alla terra e al proprio doppio da un
vincolo biologico, posano sulla vita uno sguardo stupefatto e malinconico, ma
non lo sanno neppure, tanto sono occupati dal ciclo delle faccende della
fattoria.
Bruce Chatwin ha scelto di questo suo
terzo libro una via opposta a quella di In Patagonia e
del Viceré di Ouidah. Al centro, ancora una volta, è un effetto di
lontananza: ma non più evocato dall’esotismo, dalla distanza nello spazio; qui
è uno scarto temporale, forse ancora più imponente, che si manifesta entro i
confini di un piccolo spazio immutabile. Leggiamo questo romanzo, più vicino a
Hardy che a Hudson, con uno sconcerto che diventa fascinazione: ogni dettaglio ha
una vivezza allucinatoria e, a mano a mano che procediamo, ci sentiamo
inghiottiti dalla vita circoscritta dei due gemelli come fosse un buco nel
tempo che sbocca lontanissimo, forse in un luogo oscuro e silenzioso dove si
dividono come due valve di una conchiglia le identità di Lewis e Benjamin,
destinate a specchiarsi per sempre una nell’altra.
Sulla collina nera è apparso per la prima volta nel 1982.
Quanto siamo maledettamente lontani dalla prosa a cui
Chatwin, ci aveva abituati... penso a "In Patagonia" naturalmente, o
a "Che ci faccio qui?"... testi che
ognuno di noi conosce, testi di formazione, di viaggio, di introspezione di
fronte al diverso, al nuovo, all'incompreso...
Cosa che ahimè non riesce in questa occasione...
l'idea, peraltro già usata da altri, di non far muovere il/i personaggio/i ma
di farli viaggiare nel tempo mentre il loro spazio resta immutabile qui non
decolla... forse perché i gemelli (i due protagonisti) fondamentalmente non si
parlano, non si capiscono, si ostacolano, svolgono due vite parallele che nulla
permea... certo si vogliono bene, ma è un bene che non permette di far volgere
al bello la loro vita... piuttosto a renderla stabile, economicamente, senza
trambusti... come quei matrimoni senza sale e pepe, che resistono a tutto e
tutti forse per autentica mancanza di fantasia, di voglia di alternativa, di
comodità... siamo così agli antipodi rispetto a capolavori quali "Stoner" di John Williams, ed è un
peccato, perché da Chatwin, vero viaggiatore ci si aspetta molto di
più...
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