"Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita".
"Ai limiti del deserto, immersa in una sorta di stregata immobilità, sorge la fortezza Bastiani.
Lì, il tenente Giovanni Drogo consuma la propria esistenza nella vana attesa dell'invasione dei Tartari.
In questa vicenda, nata dalla trasposizione in un mondo militare fantastico della monotona routine notturna nella redazione del giornale, si ritrovano tutti i temi della narrativa buzzantiana, ricca di allegorie magiche e surreali, cariche d'angoscia e di fascino, di simbologie che investono il senso dell'esistenza e delle azioni umane".
Provate a leggere "Barnabo delle Montagne" ed a seguire "Il deserto dei Tartari" o viceversa, se preferite… scoprirete che, per Buzzati le montagne, l'inanimata (secondo noi) Terra, nella realtà sono/é la vera protagonista… la vita, i sogni, i pensieri ed i destini degli uomini, sono corollario, destinate a sparire nel breve passaggio di una notte… di fronte all'eternità delle montagne.
Il tutto con grande uso delle allegorie. Allegorie capaci però di lasciarci a bocca aperta. Idee riportate in forma di scritto che ci descrivono ciò a cui non riuscivamo a dare un nome.
I pensieri degli uomini dicevo, le loro speranze, mai all'altezza del desiderio, sino all'ultimo sospiro, che li coglie spesso impreparati, a cui si sono preparati con cura, ma che li imbroglia.
E' il caso di Giovanni Drogo, una carriera spesa in attesa della guerra, dell'evento che lo trasformi in eroe e niente… una vita in attesa di … morire. Peccato che il destino abbia in sorte per lui ben altro… la morte si, quella è sicura, ma in un letto, malato, mentre altri combattono. Una beffa, senza alcun dubbio.
"Gravava ormai nella sala il sentimento della notte, quando le paure escono dai decrepiti muri e l'infelicità si fa dolce, quando l'anima batte orgogliosa le ali sopra l'umanità addormentata"
Pagina 55.
"Ecco il tempo in cui nelle vecchie assi risuscita un ostinato rimpianto di vita. Moltissimi anni prima, nei giorni felici, era un giovanile flusso di calore e di forza, dai rami uscivano fasci di germogli.
Poi la pianta era stata abbattuta.
E adesso che è primavera, infinitamente minore, un palpito di vita.
Un tempo foglie e fiori; ora soltanto un vago ricordo, quel tanto per fare crac e poi basta fino all'anno venturo".
Pagina 121.
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