venerdì 13 luglio 2018

Autunno Tedesco

"Il giornalismo è l'arte di arrivare troppo tardi il più in fretta possibile. Io non la imparerò mai".
Sta tutta in questa frase la storia di Stig Dagerman e quella del suo libro "Autunno Tedesco", la consapevolezza di non poter arrivare in tempo con il giornalismo, ma di essere in tempo per la letteratura... ovvero prendersi il tempo per non accettare idee preconcette, per scavare nell'animo umano, nelle ragioni dell'altro... nelle scale di grigio che fanno la differenza tra il bianco dei buoni ed il nero dei cattivi.... é così difficile? è così lontano dai nostri tempi? Assolutamente no.
Il racconto della Germania sconfitta e quella molteplice del suo popolo, in parte responsabile, in parte supino, in parte vittima della dittatura e del proprio destino, a cui va riconosciuta una sola colpa: quella di essere dalla parte degli sconfitti di una feroce dittatura. 

 

 
"Nel 1946 furono molti i cronisti che accorsero in Germania per raccontare quel che restava del Reich finalmente sconfitto, ma dal coro di voci si distinse quella di uno scrittore svedese di ventitré anni, intellettuale anarchico e narratore dotato di una sensibilità fuori dal comune, inviato dell'Expressen per realizzare una serie di reportage poi raccolti in un libro che è considerato ancora oggi una lezione di giornalismo letterario.
Mentre le testate di tutto il mondo offrono il ritratto preconfezionato di un Paese distrutto, che paga a caro prezzo gli orrori che ha seminato e dal quale si esige un'abiura convinta, Dagerman, libero da ogni pregiudizio ideologico e rifiutando ogni generalizzazione o astrazione dai fatti concreti e tangibili, si muove fra le macerie di Amburgo, Berlino, Colonia, su treni stipati di senzatetto e in cantine allagate dove ora vivono masse di affamati e disperati, cercando di capire nel profondo la sofferenza dei vinti.
Ne emerge un quadro molto più complesso di quello che è comodo figurarsi.
Mentre ci si accanisce a cercare nostalgici nazisti, Dagerman si chiede come può un padre che vede morire un figlio di stenti dichiarare che ora sta meglio di prima: mentre le potenze occupanti pensano a punire e ad allestire processi, Dagerman descrive la messinscena di una denazificazione di facciata e la morte spirituale di un Paese che è troppo impegnato a lottare ogni giorno con la morte per riflettere sui propri errori, perché la fame è una pessima maestra per educare i colpevoli.
Con il suo acume analitico e la sua empatia capillare, Dagerman scava nelle contraddizioni della Germania post-bellica offrendoci un manifesto di accusa contro tutte le guerre, e una riflessione amaramente attuale sul potere, la giustizia, lo Stato".


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