Se nei confronti dei gerarchi nazisti si è spesso sentita la frase di Hannah Arendt "La banalità del male" a delineare un accettazione quasi fatalista del male fatto ad altri, nel caso di questo libro sarebbe opportuno coniare la frase "La banalità della banalità del male" ad intendere l'accettazione di avere qualcuno da servire che incarna il male assoluto.
Rochus Misch che ha avuto la fortuna di sopravvivere agli ultimi istanti del Reich ed alla prigionia sovietica, è stato per molto tempo vicinissimo ad Hitler pur senza aver alcun voce in capitolo nell'entourage del capo nazista.
Ha goduto dei vantaggi del regime e della posizione privilegiata senza sporcarsi le mani con la guerra e l'antisemitismo. Anche lui ricorda, come molti, solo quello che fa comodo. E come dargli torto? Perché rischiare un ulteriore condanna morale per quanto commesso o accettato supinamente?
A sua discolpa va, e questo è un metro che uso sempre, il momento storico, la condizione psicologica (orfano, cultura media, fascinazione di fronte al leader) e la capacità del Nazismo di creare passione.
Fu l'ultimo ad andarsene, ma come lui racconta, solo perché non gli fu possibile andare via prima...
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