Anita Nair ci regala un romanzo impregnato degli umori che solo l'India possiede.
Nulla a che fare con certi scrittori nordici cui ci eravamo abituati da diverso tempo. Nulla di buio, tenebroso, freddo e piovoso. E tuttavia le pulsioni che portano alla morte, all'odio, alla ferocia del cuore, non sono per nulla diverse da quelle provate da altri personaggi incontrati ad Oslo o Bergen.
Cosa rende originale questo romanzo? Il profumo delle spezie, le usanze, la lentezza dell'ambiente, i cibi e le bevande, la corruzione accettata con fatalità (mi ricorda certa Italia).
Il nostro eroe non ha nulla da invidiare in termini di vita difficile rispetto ad un Harry Hole alla Jo Nesbo: alcool, matrimonio in frantumi, figli incompresi ed incomprensibili, una carriera discutibile. Tutto ciò non riduce per nulla la capacità di Borei Gowda (il nostro ispettore) anzi. E alla fine ecco la sorpresa.
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