lunedì 30 novembre 2020

Il giorno della civetta


 Il Giorno della Civetta è uno dei romanzi più famosi di Leonardo Sciascia, scritto nel 1961, il libro è una denuncia contro lo strapotere della mafia in Sicilia, terra natale del grande scrittore.
La storia si svolge nel 1960.
In un paesino vicino a Siracusa il presidente di una piccola cooperativa edilizia viene trovato assassinato a una fermata dell'autobus.
Mistero sul movente e sui mandanti dell'omicidio.
Le indagini del Capitano dei carabinieri Bellodi non sono facili perché nessuno è disposto a parlare.
Con il passare del tempo, restano coinvolti nel caso anche personaggi importanti.
Ad un certo punto viene uccisa l'unica persona che aveva riconosciuto l'omicida mentre si allontanava dal luogo del delitto.
Il Capitano non si da per vinto e, grazie alle indicazioni della vedova dell'ultima vittima, risale al pregiudicato che ha assassinato il dirigente edile.
In seguito, dagli interrogatori, si arriva ai nomi dei due mandanti dell'omicidio.
Ma da questo momento la vicenda prende una piega ancora più drammatica.
Arrivano le soffiate, ci sono i tradimenti: difficile capire da che parte sia la verità.
Bellodi, che ha intuito come stanno i fatti, non avrà vita facile.
Con quest''opera Sciascia scatta una fotografia sorprendente della società dell'epoca in un intreccio di lotte e di giochi di potere clandestini. (tratto dal libro).

Appena cominci a leggere "Il Giorno della Civetta" ti accorgi di avere tra le mani un piccolo capolavoro. Un libretto di 143 pagine che sanno scavare... e scava e scava, tirano fuori l'animo umano tanto, quanto e forse meglio di quanto racconti in un tomo da 700  pagine uno scrittore russo ottocentesco... perché vi piaccia o no, l'uomo è uomo ovunque e le dinamiche che lo accompagnano: potere, gelosia, odio, paura, ferocia... sono uguali ovunque, cambiagli qualche decorazione, ma la sinfonia non cambia... Siamo nella Sicilia, negli anni 60 del secolo scorso e la Mafia appare ancora come qualcosa di sfumato... eppure ben radicata e presente a tutti i livelli, da quello politico a quello di controllo locale di ogni piccolo dettaglio... 
E le dinamiche che muovono le persone sono sempre uguali... sentite ad esempio cosa scrive Sciascia della paura (pagina 37) "La paura gli stava dentro come un cane arrabbiato: guaiva, ansava, sbavava, improvvisamente urlava nel suo sonno; e mordeva, dentro mordeva, nel fegato, nel cuore....."

O ancora (siamo a pagina 80) quando inizia la lotta (tutta psicologica) tra il Capitano e il reo, " IL Marchica non ci capiva più niente, il capitano lo guardava indovinando il travaglio della sua mente: su e giù come un cane sotto il solleone, la mente; una raggera di possibilità, di incertezze, di presentimenti che si apriva ad ogni punto su cui, con animale sensibilità si fermava".

O quando il Reo, deve fare i conti con la sua vita e quello che lo aspetta... (pagina 88) "Forse il resto della sua vita avrebbe passato in carcere: ma a parte il fatto che c'era ormai l'abitudine, che il carcere era per lui un po' come la casa cui si torna volentieri dalla fatica di un viaggio, forse che la vita non era un carcere? Una continua tribolazione era la vita: i soldi che ti mancano, le carte della zecchinetta che ti chiamano, l'occhio del maresciallo che ti segue, i buoni consigli della gente; e il lavoro, la dannazione di una giornata di lavoro, il lavoro che ti fa peggio di un asino..."

Si entra poi nella psicologia, quando Sciascia fa descrivere al Capitano la coscienza dei siciliani (pagina 108) "E ciò discendeva dal fatto, pensava il Capitano, che la famiglia è l'unico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano: ma vivo più come drammatico nodo contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale. La famiglia è lo Stato del siciliano. Lo Stato, quello che per noi è lo Stato, è fuori: entità di fatto, realizzata dalla forza; e impone le tasse, il servizio militare, la guerra, il carabiniere... Dentro quell'istituto che é la famiglia, il siciliano valica il confine della propria naturale e tragica solitudine e si adatta, in una sofistica contrattualità di rapporti, alla convivenza".

Ed infine, il pezzo forte, quello più noto del testo e diventato patrimonio comune di tutte le storie di mafia... (siamo a pagina 115) parla Don Mariano, il capomafia... "Io, ho una certa pratica  del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie... gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà...
Pochissimi gli uomini, i mezz'uomini pochi, che mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini... e invece no, scende ancora più giù, gli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più giù: i pigliainculo che vanno diventando un esercito... e infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre"....



Nessun commento:

Posta un commento

Niente parolacce, né!

Perché dono